Karabakh è una parte quasi sconosciuta dell'Armenia, paese conteso per secoli, montagnoso e verdissimo, fatto di boschi, foreste inesplorate, villaggi fuori dal tempo e due città, capitali in tempi diversi. Un ultimo indimenticabile paradiso. Karabakh in turco-persiano significa “giardino nero” e sono scure le terre di questo territorio montagnoso a sud est della Transcaucasia, la parte estrema orientale della Grande Armenia. Con le cime dei suoi monti dà l'impressione di un'enorme fortezza che si erge, inaccessibile, sulle pianure steppose. Questo territorio, da sempre autonomo o semiautonomo, costituisce un simbolo per gli armeni di tutto il mondo. Karabakh è stato trascurato nel corso dei secoli dai nomadi venuti dall'est che preferivano trasformare giardini, orti e frutteti in pascoli per capre e pecore ed è stato risparmiato anche dall'industrializzazione per le difficoltà di trasporto e di comunicazione. È rimasto il paese di duemila anni fa, abitato dalla prima etnia cristiana, dedita all'agricoltura stanziale e alla pastorizia, capace di soffrire, resistere, difendere e amare la propria terra. Le fotografie di Graziella Vigo, che già si è fatta apprezzare per la profondità con cui ha indagato il mondo armeno, mettono a nudo l'anima del paese e rivelano la sua realtà: il paese dell'impossibile. Passato, presente e futuro si saldano e nulla diviene in questa terra antica, la storia non scorre più. Uomini e natura appaiono segnati per sempre, fissati nel tempo. Qui, ci raccontano queste immagini prese dalla terra e dal cielo, è ancora visibile una vita contadina primitiva; le donne portano il fardello della storia, mentre in alcuni villaggi abitati da greci, gli uomini sembrano discendenti diretti dei protagonisti delle storie di Erodoto. Ogni foto di Graziella Vigo racconta una storia, ogni storia vive con noi se la seguiamo nel suo “viaggio” fatto con la pazienza e l'umiltà che contraddistinguono ogni vero artista.
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