Si intitola “Corpi moderni. La costruzione del corpo nella Venezia del Rinascimento. Leonardo, Michelangelo, Dürer, Giorgione” la mostra che le Gallerie dell’Accademia di Venezia dedicano a un tema perennemente attuale. Usando Venezia e il Rinascimento come sfondo della narrazione espositiva, i curatori Guido Beltramini, Francesca Borgo e Giulio Manieri Elia danno forma a una riflessione sul corpo che spazia dall’anatomia al desiderio
Ottantanove opere fra disegni, sculture e dipinti: sono le protagoniste della mostra Corpi moderni. La costruzione del corpo nella Venezia del Rinascimento. Leonardo, Michelangelo, Dürer, Giorgione, allestita presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia fino al 27 luglio 2025. Affiancando capolavori provenienti da musei e collezioni italiani ed esteri a quelli custoditi dall’istituzione ospite – come l’Uomo vitruviano di Leonardo, presentato nuovamente al pubblico dopo sei anni, oppure La vecchia di Giorgione ‒, la rassegna descrive le trasformazioni che hanno interessato il concetto di corpo nella Venezia del Rinascimento. L’anatomia, il desiderio, le istanze sociali diventano i filtri attraverso i quali “leggere” il corpo, fulcro di una nuova costruzione culturale radicata nel pensiero moderno.
È Giulio Manieri Elia, direttore delle Gallerie dell’Accademia e curatore della mostra insieme a Guido Beltramini e Francesca Borgo, a evidenziare questo fondamentale cambiamento nel testo a sua firma racchiuso fra le pagine del catalogo edito da Marsilio Arte: l’esposizione “affronta un tema di rilevante interesse: la svolta culturale, avvenuta in età di Rinascimento, che porta, attraverso uno sforzo di conoscenza e una crescita di consapevolezza, a una nuova considerazione del corpo – da qui il titolo –, che è poi quella che oggi ci appartiene. Inoltre, […] le Gallerie dell’Accademia sono il luogo deputato per un’esposizione dedicata a questo tema, in virtù del contributo fondamentale che Padova e Venezia hanno offerto a questo significativo passaggio culturale. La prima, nell’ambito della ricerca anatomica e scientifica, rappresentata da figure come Andrea Vesalio, e la seconda, nel campo della produzione editoriale e soprattutto della creazione artistica introducendo nuove iconografie che hanno esplorato
le potenzialità espressive proprie alla seduzione del corpo, indagando strade di coinvolgimento emotivo del riguardante”.
Il corpo, dunque, esce dal perimetro della biologia e reclama il proprio legame con la vita di tutti i giorni, individuale e collettiva. Gli artisti del Rinascimento raccolgono la sfida di un corpo che “è ovunque”, come sottolinea la curatrice Francesca Borgo nel suo saggio all’interno del catalogo. Il corpo, dichiara, è “fuori nella vita, disciplinato da manuali di comportamento e cura di sé e dentro le immagini. Tutti ne hanno uno, tutti lo disegnano e tutti si chiedono incessantemente come meglio raffigurarlo: perché trasformare il corpo in figura rimane, oggi come allora, un affare rischioso, un esercizio che si porta dietro inevitabilmente grosse domande sulla bellezza – cosa sia, se sia rappresentabile, se sia o meno lo scopo dell’arte”.
La realtà vissuta ogni giorno diviene quindi il terreno sul quale artisti come Dürer scelgono di compiere un simile “esercizio”. “È però soprattutto dal corpo – quello vero, della vita, che si osserva empiricamente e si misura – che Dürer pensa di poter ricavare la formula perduta”, spiega ancora Borgo. “La bellezza del corpo, scrive, va cercata nelle persone, tra la folla, nella moltitudine: «io ritengo che la corretta forma e bellezza siano comprese nell’insieme di tutte le persone […]. Chi è in grado di estrarre (heraus zihen) questa essenza lo seguirò più di colui che vuole inventare una nuova misura, della quale gli uomini non hanno mai fatto parte». E sebbene affermi di non voler sostenere che gli artisti dovrebbero passare tutta la vita a misurare, lui sembra aver fatto esattamente questo, e dichiara più volte di aver studiato (e misurato) almeno due o trecento persone. La conseguenza di questa campagna antropometrica sembra essere stata, inevitabilmente, la realizzazione che nessuno è perfetto, e ognuno ha una diversa idea di perfezione. A colpi di riga e compasso, il canone vitruviano si sgretola così nella varietà dei tipi, nella irriducibile differenza dell’umano. Nel cosiddetto ‘excursus estetico’, un lungo testo teorico redatto tra il 1512 e il 1515 e poi aggiunto alla fine del terzo dei Quattro libri sulle proporzioni umane, Dürer riformula la teoria delle proporzioni non come canone, ma come metodo di indagine, utile a rendere conto di tutte le immaginabili variazioni del corpo. Sulla base di dati empirici, il trattato offre agli artisti una serie di termini della differenza (magro/grasso, morbido/robusto, forte/debole, bianco/nero) che servono a replicare artificialmente, in immagine, la varietà che è propria del corpo nella vita.
Abbandonata l’illusione di un canone proporzionale unitario, Dürer prende coscienza del fatto che non esiste una bellezza assoluta, ma molteplici forme di bellezza relativa”.
A delinearsi è dunque “un’estetica della differenza che avvicina sorprendentemente Dürer e Leonardo, impegnati, a distanza ma negli stessi anni, a ridefinire il ruolo dell’artista come colui che abbraccia la molteplicità delle forme dei corpi. Per entrambi, la ripetizione di figure stereotipate, costruite e misurate rigidamente sulla univocità sempre uguale del canone è da evitare. La varietà è obiettivo e prerogativa dell’artista. […] Convinto dell’unità intrinseca dell’organismo, Leonardo non ricerca infatti misure assolute, ma corrispondenze interne tra diverse parti del corpo”.
“Sparisce quasi subito qualsiasi traccia di Vitruvio”, conclude Borgo, “superato dalle evidenze empiriche, come pochi anni dopo sarà anche per Dürer; non viene apertamente smentito, ma semplicemente messo da parte: e non è certo un’eccezione per Leonardo, che in diversi ambiti del sapere pensa all’autore antico come a un avversario da confutare”.
Il corpo è ovunque, si diceva. Ma quale relazione esiste fra gli studi sulla rappresentazione anatomica del corpo umano e la nascita del disegno di architettura – disciplina profondamente connessa allo stare nel mondo? A domandarselo è, nel suo saggio, il curatore Guido Beltramini, che, muovendosi lungo le tracce di James Ackerman, chiude il cerchio del ragionamento con queste parole: “[…] è evidente che disegno anatomico e disegno architettonico porgono, al momento della loro codificazione, problemi affini di descrizione analitica della morfologia esterna e della corrispondenza fra interno ed esterno. La ricerca sviluppata da Piero e Leonardo è fatta propria da Bramante, che da quest’ultimo trae anche altri elementi per la propria attività di architetto, come l’uso della pietra rossa quale medium più duttile di penna e inchiostro per la progettazione d’architettura. Dal ‘laboratorio’ del cantiere di San Pietro impostato da Bramante emergono elementi cruciali per la definizione di un nuovo sistema di rappresentazione. In particolare Antonio da Sangallo, fra i pochi provenienti dalla pratica del cantiere anziché dalla bottega di un pittore, e quindi abituato a concepire il disegno come strumento di controllo della costruzione, sviluppa in modo sistematico il disegno secondo il ‘teorema dei tre modi’. Non è un caso se sarà Palladio, il quale condivide con Antonio la stessa formazione in cantiere, a trasferire in campo editoriale nuove modalità di rappresentazione, che ancora una volta ritrovano nella rappresentazione del corpo umano la propria origine”.
Alla luce delle riflessioni proposte dai curatori della mostra veneziana appare ancora più chiaro il significato del titolo che la accompagna: la “costruzione del corpo” è un processo riguardante la sfera dell’esistenza nella sua totalità e complessità. Un processo, appunto, che ancora ci appartiene.
Arianna Testino
BIO
Guido Beltramini è direttore del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio dal 1991. È stato professore a contratto di Storia dell’architettura all’Università di Ferrara (1994-2002). È uno specialista riconosciuto a livello internazionale di architettura di Palladio e più in generale del Rinascimento, con incursioni nel Novecento di Carlo Scarpa.
Francesca Borgo insegna storia dell’arte moderna all’Università St Andrews nel Regno Unito; dal 2021 dirige un progetto di ricerca quinquennale alla Bibliotheca Hertziana ‒ Max Planck Institute for Art History a Roma. Ha conseguito un master e un dottorato a Harvard. È stata borsista presso il Getty Research Institute di Los Angeles, il Kunsthistorisches Institut in Florenz, l’Università di Amburgo, e Villa I Tatti.
Giulio Manieri Elia è direttore delle Gallerie dell’Accademia di Venezia dal 2019. Ha diretto inoltre il Museo di Palazzo Grimani dal 2012 al 2015. Nei ruoli della Soprintendenza veneziana, dal 2000 ha maturato una solida esperienza nell’ambito del restauro, dirigendo interventi conservativi su opere tra gli altri di: Jacobello del Fiore, Giovanni e Gentile Bellini, Vittore Carpaccio, Jacopo Tintoretto, Paolo Veronese, Tiziano, Luca Giordano, e Giambattista Tiepolo.
INFO
Corpi moderni. La costruzione del corpo nella Venezia del Rinascimento. Leonardo, Michelangelo, Dürer, Giorgione
fino al 27 luglio 2025
GALLERIE DELL’ACCADEMIA
Campo della Carità ‒ Dorsoduro 1050, Venezia
https://www.gallerieaccademia.it
Didascalie:
Corpi moderni. La costruzione del corpo nella Venezia del Rinascimento. Leonardo, Michelangelo, Dürer, Giorgione, exhibition view, Gallerie dell’Accademia, Venezia 2025. Photo Andrea Avezzù
Guido Beltramini, Giulio Manieri Elia, Francesca Borgo, curatori della mostra Corpi moderni. La costruzione del corpo nella Venezia del Rinascimento. Leonardo, Michelangelo, Dürer, Giorgione alle Gallerie dell’Accademia, Venezia 2025. Photo Andrea Avezzù
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