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da MArte

Lorenzo Reina, l’artista pastore che ha dato forma a un incredibile teatro

di Lauretta Colonnelli

Lauretta Colonnelli è l’autrice del volume che racconta la vicenda del Teatro Andromeda e del suo artefice, Lorenzo Reina. Una storia da leggere d’un fiato, ambientata in Sicilia, fra Land Arte e meraviglie naturali

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Incontrai per la prima volta Lorenzo Reina il 27 maggio del 2021. Ero scesa in Sicilia con Emilio Casalini e la troupe di Rai Cultura, che stava preparando una puntata del programma Generazione Bellezza intorno all’artista pastore. Era appena uscito, su Art e Dossier, un mio articolo che raccontava il Teatro Andromeda, la sua opera più imponente. Mi ero imbattuta per caso nelle foto mentre cercavo su internet quanti fossero i resti degli antichi teatri greci sparsi per la Sicilia. Ero rimasta affascinata dalla costruzione di Reina. L’avevo chiamato al telefono e mi ero fatta raccontare come era nato il progetto di quest’opera, che nei muri tirati su a secco con le pietre dei campi ricordava i recinti degli ovili, e nei sedili a forma di stelle rispecchiava gli astri della costellazione di Andromeda.
Ma sulle cime gibbose dei monti Sicani, a mille metri di altezza sopra il paesello di Santo Stefano Quisquina, lungo la strada che da Palermo conduce ad Agrigento, non trovai soltanto il teatro. Reina, nel corso degli ultimi trent’anni, ha costruito quella che oggi chiama la Fattoria dell’arte, dove le opere di scultura e architettura si mescolano ai vecchi pagghiari in pietra e paglia, in una fusione armonica tra l’arte di oggi e l’antica sapienza della pastorizia.
Il percorso comincia dall’antica mànnira, il grande ovile dove una volta si ricoveravano greggi di oltre quattrocento capi, trasformata in una sorta di basilica a tre navate, che conserva gli arnesi del pastore: dalle forbici per tosare al bastone con le tacche che segnavano le giornate trascorse sul pascolo, alle bisacce che si mettevano sul dorso della giumenta durante la transumanza. E, sulle lunghe pareti, la galleria delle fotografie in bianco e nero che raccontano l’inizio della costruzione del Teatro Andromeda.
Sparsi sui prati, i volti giganteschi scolpiti nel calcare e studiati per impigliare i raggi del sole nel giorno dei solstizi, come le costruzioni preistoriche fatte per misurare il tempo.
Verso oriente, il museo a pianta ottagonale ispirato alla geometria del federiciano Castel del Monte e alla vicina Torre di Enna, ma in dimensioni ridotte, dove sono esposte le sculture più piccole.
Tra i filari della vigna e i ciliegi del frutteto, le erme con teste scolpite in radica d’ulivo o in terracotta.
Liberi per i pascoli, i settanta asini che agitano l’aria con ragli lunghi e sonanti, e allungano verso i visitatori i musi pelosi e soffici. Contribuiscono anche loro – con il sole e le stelle, il rifacimento incessante del teatro e delle sculture, il perenne variare del paesaggio nel trascorrere delle stagioni, i nibbi bruni, le aquile reali e i capovaccai dalle grandi ali che planano tra le nuvole – a fare dell’opera di Reina un organismo vivente, dove confluiscono spontaneamente Land Art e classicismo postmoderno, arte concettuale e arte povera, in una originalissima rielaborazione.
Dovevo restare tre giorni. Mi fermai tre settimane, accolta da Lorenzo e dalla moglie Angela e dai loro figli, Libero il musicista e Christian il fotografo. Rimasi ad ascoltare i racconti di Lorenzo sull’epopea dei suoi antenati: dalle avventure del bisnonno Piddu emigrato in Louisiana a tagliare canne da zucchero, fino alla propria infanzia di servo pastore segnata dalla solitudine e dal desiderio frustrato di studiare, alle prime rozze sculture con i rami d’ulivo e le pietre di alabastro eseguite dietro al gregge, agli inviti a due biennali veneziane, di Arte e di Architettura.
Fu così che nacque questo libro.

Lauretta Colonnelli

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