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Specchi, buchi neri e oggetti vertiginosi: il libro sulla poetica di Anish Kapoor

di Redazione

Si intitola “Metafisica dello specchio. Anish Kapoor e la poesia delle superfici” il volume scritto dallo studioso e docente Federico Leoni. Gli abbiamo chiesto di accompagnarci fra le pagine di un volume dedicato a uno degli artisti contemporanei più noti al mondo

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In mostra a Firenze, negli ambienti di Palazzo Strozzi, fino al 4 febbraio 2024, Anish Kapoor è anche il protagonista del libro che descrive l’importanza delle superfici specchianti nella sua produzione. Tra filosofia, mito e linguaggio visivo, Federico Leoni offre al lettore punti di vista sull’arte di Kapoor tutti da esplorare.

 
In una recente intervista pubblicata su questo magazine, Anish Kapoor ha dichiarato: “Molto di ciò che faccio da lungo tempo ha a che vedere con la finzione dell’oggetto”. Quale valenza ha l’oggetto nella pratica artistica di Kapoor?
L’oggetto è centrale, nella poetica di Kapoor. Stranamente, Kapoor è un facitore di cose. Dico “stranamente” perché fare cose, oggetti, opere è di per sé in controtendenza con molta arte contemporanea, che spesso si vuole contemporanea e si definisce contemporanea proprio negando l’oggetto, sminuzzando l’oggetto, decostruendo l’oggetto. Kapoor prende tutt’altra via. Fabbrica cose dotate di una particolarissima densità, magnetismo, quasi sacralità, e per un altro verso vitalità, forza di irradiazione, ampiezza materiale e simbolica. L’oggetto kapooriano segna sempre un punto di gravitazione, disegna intorno a sé uno spazio, racchiude paradossalmente ciò che lo circonda. È una specie di gorgo, un evento che buca lo spazio e lo dispone intorno al proprio vortice. Nel libro suggerisco che l’oggetto kapooriano sia ipermoderno e insieme premoderno, molto contemporaneo e molto arcaico. L’unica cosa che l’oggetto kapooriano non è, è un oggetto moderno, un oggetto familiare, un oggetto che sta di fronte a noi, di fronte a un soggetto, destinato a qualche forma di contemplazione estetica.

Per quale ragione?
Perché da un lato l’oggetto di Kapoor è un oggetto vivo, attivo, magnetico, metamorfico, e in questo senso è un oggetto molto contemporaneo, una cosa viva e pensante, una realtà animata e quasi soggettiva, come tanti degli oggetti che vivono accanto a noi e ormai insieme a noi. Questo cellulare, questo laptop, che tra l’altro hanno un’estetica in qualche modo kapooriana, una specie di pulsazione e di gravitazione che ci trascina nel loro spazio, nel loro ambiente tecnologico. Ma l’oggetto di Kapoor è anche un oggetto molto arcaico. È un oggetto rituale, un oggetto sacro, un oggetto totemico. Di sicuro è un oggetto che schiva l’oggetto moderno, l’oggetto che sta di fronte al soggetto, perché di fronte all’oggetto kapooriano siamo presi da vertigine, vacilliamo, ci sentiamo desituati, ci sentiamo cadere.

Quale ruolo gioca lo specchio nel fare di Kapoor? E quale legame ha con “il materiale più nero di un buco nero” usato da Kapoor e definito tale dallo stesso artista nel suo dialogo con Maurizio Cattelan?
Quello dello specchio è uno dei linguaggi più frequentati da Kapoor e più celebrati nell’arte di Kapoor. Ha a che fare con l’assoluto dei suoi oggetti, con la loro compattezza perfetta, con la loro superficie perfettamente liscia, con la loro maniacale levigatezza. Da questo punto di vista, molti oggetti kapooriani sono degli specchi anche quando non sono degli specchi. Allo stesso tempo, questa loro compattezza, chiusura, impenetrabilità, non impedisce loro, anzi al contrario impone loro, di catturare il mondo circostante, di estrarne un’immagine fedelissima e insieme deformata, di piegare il mondo circostante alla loro geometria pur replicando quel mondo punto per punto, dettaglio per dettaglio. Lo specchio cattura, attrae il mondo dentro di sé, traduce l’universo nella propria curvatura, trascina gli oggetti circostanti nella propria geometria. Da questo punto di vista, l’oggetto-specchio dice che nell’universo non ci sono cose, oggetti, condizioni, ma solo eventi. Ogni cosa è una specie di gesto che prende gli altri gesti dentro di sé. Ogni oggetto è in realtà un processo che cattura gli altri processi nel proprio ritmo, nel proprio movimento, nella propria traiettoria, nel proprio linguaggio. Un universo fatto di oggetti-specchio è un universo fatto di un’infinità di punti che sono, insieme, perfettamente sigillati in se stessi e perfettamente sintonizzati gli uni sugli altri. È un universo fatto di entanglements, come dicono i fisici. Forse anche noi siamo ormai degli individui di questo tipo. Forse anche noi siamo delle monadi senza finestre eppure iperconnessi, o, detto meglio, senza finestre e proprio per questo iperconnessi. Se pensiamo a questo doppio movimento dello specchio, chiusura e iperconnessione, massima disponibilità e massima indisponibilità, non stupisce che l’altro modo per esplorare questa direzione sia quello del nero, del buco nero, della chiusura più profonda, del pozzo che tutto attrae nella propria gravitazione spaventosa, e insieme che tutto raduna, raccoglie, racchiude, rammemora. Il buco nero è come il cuore dello specchio, è che ogni punto del cosmo è una memoria integrale del cosmo.

Filosofia e mito sono alcune delle bussole di cui lei si serve, fra le pagine del libro, per orientarsi nella poetica di Kapoor. In ultima analisi e in poche righe, come descriverebbe il linguaggio artistico di Kapoor nel contesto artistico contemporaneo?
Dicevo che Kapoor è un facitore di cose e che questo è di per sé in controtendenza con molta arte contemporanea. Dall’avanguardia in poi, si è spesso trattato di abbandonare il terreno dell’opera, del prodotto, della cosa, e di costruire qualcosa di diverso. Costruire dispositivi, macchinari, macchinazioni, scenari e macchine teatrali, happening e performance di vario genere, ambienti in cui siamo invitati a immergerci, e così via. Tutto questo non è che non ci sia in Kapoor, ma è come se fosse ritrovato dall’interno della dimensione dell’oggetto, è come se venisse tutto concentrato in un punto densissimo.

Ovvero?
Tutta quella fascinazione per l’evento, tutto quel lavorio che doveva mettere in movimento quanto era stato troppo immobile, cioè l’opera tradizionale, l’opera come oggetto statico, in Kapoor torna a farsi denso, cosale, e anche affermativo, anche inaggirabile. Una specie di gorgo che è insieme molto oggettivo, concreto, materiale, e insieme molto attivo, agente, magnetico. Tutto questo sistema di contrasti, di ossimori, di coincidenze di cose che normalmente sono opposte trova in modo molto naturale degli strumenti per essere pensato, per essere messo in forma, sia nel mito sia nella filosofia contemporanea. Bisogna guardare al prima e al dopo rispetto alla modernità per capire l’oggetto kapooriano. Il mito è tutto fatto di compresenze di quanto dovrebbe escludersi, la filosofia contemporanea è tutta parodistica, paradossale, spiazzante. Marsia viene scuoiato da Apollo, viene rovesciato come un guanto, è una profondità che si fa superficie o una superficie che si fa profondità. Il mito vede benissimo questa sovrapposizione degli opposti. Ma anche una branca così contemporanea della matematica, come la topologia, o un’idea così vicina a noi come quella deleuziana di piega, di piegatura, di continuità increspata, non pensa altro che questo rovesciamento del dentro nel fuori, questo sconfinare del soggetto nell’oggetto, questo racchiudere nel più profondo del cuore qualcosa di lontano, misterioso, inarrivabile.

BIO
Federico Leoni (1974) insegna Antropologia filosofica all’Università di Verona, dove dirige, insieme a Riccardo Panattoni, il Centro di ricerca «Tiresia» per la filosofia e la psicoanalisi.
È coordinatore scientifico del festival Kum! di Ancona. Scrive su aut aut, Alias, doppiozero e su varie riviste italiane e straniere. Tra i suoi libri più recenti: Habeas corpus (2008), L’idiota e la lettera (2013), Henri Bergson (2021), L’immagine-scatola (2022).

 

Foto cover: Vertigo, 2006, acciaio inossidabile, cm 225 × 480 × 60, Mirror, 2018, acciaio inossidabile, cm 195 × 195 × 25, Newborn, 2019, acciaio inossidabile, cm 300 × 300 × 300. Allestimento della mostra Anish Kapoor. Untrue Unreal, Palazzo Strozzi, Firenze 2023. © photo Ela Bialkowska OKNOstudio

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