C’è poesia e molta passione nelle parole di Luca Campigotto, fotografo veneziano diventato celebre in tutto il mondo, che commenta gli scatti e il linguaggio di uno dei suoi Maestri. Una guida sentimentale per scoprire la mostra lagunare dedicata a Ugo Mulas dalle Stanze della Fotografia
Amo da sempre la poesia di Eugenio Montale e quando, ancora ragazzo, mi capitò di vedere il celebre ritratto in cui il profilo adunco del poeta fronteggia il becco sfidante dell’upupa ebbi un piccolo colpo al cuore. L’“ilare uccello calunniato dai poeti” (per Foscolo e Parini l’upupa simboleggiava il malaugurio) si era di colpo materializzato in un denso bianconero. Uno scatto così “in posa” che, senza affatto sminuire l’immagine scaturita dalla parola scritta, rivela l’intimità raggiunta dal fotografo con l’autore degli Ossi di seppia.
Non avevo idea, all’epoca, di chi fosse Ugo Mulas e solo anni dopo m’imbattei nella serie de LeVerifiche. Ricordo che mi chiedevo dove andasse a parare quella sperimentazione, finché vidi lo scatto intitolato Fine delle verifiche ed ebbi la certezza che rappresentasse l’esito di un percorso di esplorazione. Confesso che ancora oggi non m’importa della spiegazione che lo stesso Mulas ha lasciato di quell’immagine, né dell’influenza di Duchamp. Quel vetro in frantumi sui provini rimane ai miei occhi, semplicemente, come il momento dell’epilogo. Una sorta di biblico “tutto è compiuto” – una morte, non so se più rabbiosa o amara. Dopo averne tanto rincorso la seduzione, ecco che l’inganno era finalmente smascherato. La fotografia era una regina nuda. “ll viaggio finisce qui…” – recita un’altra e ben più famosa lirica di Montale – “Il tuo cuore… salpa già forse per l’eterno”.
Ugo Mulas ha attraversato la propria breve vita affidando ai suoi apparecchi fotografici un ruolo rabdomantico. Dalle periferie di Milano ingombre di macerie di guerra a quel bar Jamaica – avamposto esotico di un passato che non ritornerà – cristallizzato nel mito di una fucina artistica irripetibile.
Quindi l’arte contemporanea – in particolare, la Pop Art a New York – vissuta come immensa prateria da cavalcare con lo sguardo. Mulas immerso famelicamente nel lavoro degli artisti, fino a precipitare con le proprie visioni nelle opere d’arte stesse, creando un corpus che travalica la documentazione e diventa, a sua volta, opera tout court. Sequenze subito diventate iconiche, come quella dedicata a Lucio Fontana che si avvicina alla tela brandendo il taglierino con movenze da duello finale. Nella mia testa, sono immagini che riecheggiano la Buenos Aires di “chitarre e coltelli” raccontata da Jorge Luis Borges – istanti fotografici ormai connaturati alle tele squarciate, nuove ferite in chiaroscuro.
E poi ancora la moda e il design, la fotografia industriale e quella per il teatro. Una ricerca fin troppo sfaccettata, ma sempre sincera e volta a indagare la propria pratica, oltre che agirla quotidianamente.
A settant’anni di distanza, trovo toccante l’umanità delle sue prime fotografie a Milano, il sentimento di chi non smette di seguire quei ragazzi che si allontanano nella neve tra i casermoni e le ciminiere. Come tanti altri, però, associo la sua figura soprattutto a quel mondo dell’arte contemporanea che lo ha certamente stregato, formato e infine, penso, metabolizzato. Sono fotografie che evocano atmosfere eccitanti e, al contempo – specie quelle americane –, malinconiche. Come se l’approccio ironico usato con Alexander Calder e Roy Lichtenstein non potesse niente contro la risata nevrastenica in cui scoppia Jasper Johns nella livida luce al neon del suo loft.
Ricca di stampe meravigliose e allestita con eleganza, L’operazione fotografica a cura di Denis Curti e Alberto Salvadori è una mostra che onora la profondità di un Maestro che ha eletto la macchina fotografica a strumento esperienziale assoluto.
Se negli anni recenti il palazzo dei Tre Oci ha ospitato – complice la vista mozzafiato sul bacino di San Marco – la fotografia in una cornice nobile, queste rinnovate “stanze” si presentano oggi come un magnifico spazio museale galleggiante. Si direbbe quasi, parafrasando la tradizione mercantile della Serenissima, che alla Fondazione Cini di Venezia la fotografia abbia finalmente trovato un “fondaco” ideale in cui stabilirsi.
Luca Campigotto
BIO
Luca Campigotto (Venezia, 1962) laureato in storia moderna, fotografa il paesaggio realizzando progetti in tutto il mondo. Ha pubblicato una ventina di monografie, tra cui: American Elegy; Venezia, storie d’acqua; Iconic China; Teatri di guerra; Gotham City; My Wild Places; Venezia, Immaginario notturno.
Il suo lavoro è esposto e conservato in musei e istituzioni internazionali tra cui: MEP, Parigi; CCA, Montreal; The Warehouse, Miami; The Hearst Collection, New York; Fidelity Collection, Londra; MAXXI, Roma; Fondazione MAST, Bologna.
Coltiva da sempre l’interesse per la scrittura: i suoi racconti sono raccolti nel volume Disoriente.
INFO
Ugo Mulas. L’operazione fotografica
fino al 6 agosto 2023
LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA
Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia
https://www.lestanzedellafotografia.it
Foto cover: Ugo Mulas. Venezia, 1961 © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano/Napoli
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