In mostra alle Stanze della Fotografia di Venezia fino al 10 agosto 2025, i lavori di Maurizio Galimberti parlano del nostro tempo ma anche di una pratica che unisce tecnica e vissuto personale. Ne abbiamo discusso con l’autore
Si intitola Maurizio Galimberti tra Polaroid/Ready Made e le Lezioni Americane di Italo Calvino la mostra curata da Denis Curti e allestita al primo piano delle Stanze della Fotografia di Venezia. Classe 1956, Galimberti ha trovato nella Polaroid e nell’estetica del mosaico la chiave di volta di una ricerca che affonda le radici nella storia della fotografia, della pittura, del cinema, senza tuttavia precludersi nuove possibilità. Ecco che cosa ci ha raccontato.
Partiamo dal titolo della sua mostra alle Stanze della Fotografia di Venezia, ci spiega qualcosa in più?
Quando utilizzo la Polaroid, il mio concetto progettuale rispecchia alcune riflessioni di Italo Calvino presenti nelle Lezioni americane. L’idea di riciclare le immagini che già esistono si ritrova in lavori come quello su Taylor Swift, dove le immagini sono tutte dei cosiddetti ready made, partendo dalla lezione di Duchamp e Man Ray. Approfondendo la storia della fotografia, della pittura, del cinema, ho creato una forte base culturale che permea la mia visione: non guardo solo con i miei occhi, ma con gli occhi di coloro che mi hanno preceduto – pittori, fotografi, registi, scultori. Le intenzioni sono le stesse, cambia soltanto il mezzo di espressione. Su una progettualità molto carica di cultura, di conoscenza, ho posto la mia fantasia. Sono affamato di prendere immagini di altri e portarle nella mia visione.
Parlando dei suoi punti di riferimento, oltre a Duchamp, ha citato spesso anche il Bauhaus e Boccioni.
Nel mio lavoro smonto e ricostruisco l’immagine dandole un movimento fortissimo che richiama il Futurismo e l’approccio di Boccioni quando diceva di imprimere agli oggetti linee dinamiche, prolungamento di ritmi degli oggetti stessi. È fondamentale anche il famoso movimento del Nudo che scende le scale di Duchamp. In mostra a Venezia ci sono dei mosaici al cui interno ho ritagliato le parti bianche. Passando gli anni ed essendomi stancato del modulo che riconduce al Cubismo, taglio il bianco per arrivare a una forma di fotopittura. Tagliando le parti interne, cerco di rendere più dinamico il soggetto. Ultimamente il format della griglia mi dà quasi fastidio. L’ho superato.
Infatti lei in passato ha detto che sin dall’infanzia è stato abituato a “vedere a mosaico”.
Sì, c’erano le griglie dell’orfanotrofio e, quando sono stato adottato, c’erano le griglie dei cantieri che frequentavo insieme a mio papà. A casa mia, poi, c’era un’ulteriore griglia, quella del mosaico di San Giorgio che uccide il drago. La liberazione è arrivata negli ultimi anni e ne sono contento, perché rende la mia fotografia un unicum. Ritagliare le parti bianche accentua ancora di più il movimento futurista boccioniano e duchampiano del mio lavoro.
L’intervento, anche manuale, sulle sue opere ha un significato importante. Come ha sviluppato questo tipo di pratica?
La manipolazione è una pratica che ora utilizzo meno, perché è cambiata la procedura chimica – un tempo si sviluppava con la soda caustica, con gli acidi, adesso si sviluppa con l’acqua. Nei miei progetti più importanti – New York, Venezia nel 2007, nelle mie Polaroid degli anni Novanta ‒ c’è tanta manipolazione, che rispecchia la voglia di entrare nell’immagine, di toglierla dalla dimensione di fotografia che nasce da uno scatto e di calarla in una fotografia che è carica della tua tensione, dei tuoi ritmi, della tua visione, del tuo desiderio di stratificare la fotografia in pittura. Rendere gli strati della fotografia come fossero degli strati di colore, di materia. Quando si ha una stampa piccola, una Polaroid di 8×8 cm, ad esempio, la manipolazione ha un peso. Quando si va a scansionare quella immagine e a ingrandirla, la manipolazione, da essere sussurrata, diventa un urlo, poiché il segno si espande e tutto acquista vigore. In questo risiede la bellezza della manipolazione.
Lei ha detto che la fotografia ha bisogno di solitudine.
La solitudine ti consente di riflettere. Nel silenzio emerge la concentrazione, ma soprattutto nei momenti di silenzio che precedono la fotografia si crea la solitudine che ti permette di capire come ti senti quel giorno. Nella solitudine cerchi delle risposte alla tua condizione e, in base a quella, i tuoi occhi e le tue mani produrranno delle immagini che possono essere diverse in risposta a come stai in quel momento. In solitudine ti guardi dentro, rifletti e da queste riflessioni deriva il taglio della tua prossima immagine, quale sapore avrà.
Quale crede possa essere, se ne esiste uno, il ruolo della fotografia oggi sia per chi la fa sia per chi la guarda?
Fare fotografia assegna un ruolo molto importante agli occhi. Gli occhi di un fotografo hanno l’incarico di guardare moltissimo e di non chiudersi mai. La fotografia per lo spettatore può essere una cronaca carica di dolore, una gioia, una curiosità verso la visione di chi l’ha realizzata. La fotografia attira lo spettatore, il fotografo pone una domanda ma non deve mai dare la risposta. La fotografia ha un ruolo sociale. La forza di una immagine nasce da fotografi e autori che fanno una proposta non chiusa, ma accogliente, democratica, alla quale ognuno può dare la propria interpretazione. La fotografia funziona in base alle carezze che l’autore dà all’immagine stessa.
Intervista a cura di Arianna Testino
BIO
Maurizio Galimberti nasce a Como nel 1956. Dal 1983 inizia a usare quasi esclusivamente la Polaroid, che apprezza per l’immediatezza del risultato e per la possibilità di “manipolazione”, e con cui dà vita ai mosaici fotografici, forma artistica per cui è maggiormente conosciuto.
INFO
Maurizio Galimberti tra Polaroid/Ready Made e le Lezioni americane di Italo Calvino
fino al 10 agosto 2025
LE STANZE DELLA FOTOGRAFIA
Isola di San Giorgio Maggiore, Venezia
https://www.lestanzedellafotografia.it
Didascalie:
Maurizio Galimberti tra Polaroid/Ready Made e le Lezioni Americane di Italo Calvino, installation view, Le Stanze della Fotografia, Venezia 2025. Photo Matteo De Fina
New York Studio n. 10, lastra Polaroid, 2024, 31×66 cm. By Maurizio Galimberti/Angelos Dimitriou
Taylor Swift (1), lastra Polaroid, 2024, 50x54cm. By Maurizio Galimberti/Luchi Collection
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