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da MArte

Enrico Caruso, il tenore che è diventato un mito

di Laura Valente

Da Napoli all’America, sull’onda di un successo planetario. È questa la traiettoria seguita da Enrico Caruso, protagonista del volume curato da Laura Valente che ne approfondisce la storia. Fra belcanto, canzone napoletana e caricature satiriche

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Come lui nessuno. Storia di un italiano illustre

È un ragazzino del ventre di Napoli, Caruso.
Si guadagna da vivere facendo l’apprendista in una fonderia, e la sera canta serenate tra i tavoli dei ristoranti del lungomare. Non sa ancora, il piccolo Enrico, che un giorno diventerà «L’unico, il solo, il grande Caruso» (Rosa Ponselle, The New York Times Archives, 25 febbraio 1973, p. 105). Non immagina neanche che nel suo timbro ricco, carnoso, capace dei colori di un baritono, nella dolcezza da violoncello del suo legato, i suoi contemporanei avrebbero riconosciuto la più perfetta incarnazione del «tenore del nuovo secolo».
Un lungo viaggio per mare trasformerà Caruso nel “sovrano assoluto” del Metropolitan Opera, il tempio della lirica americana. «Nessuno è degno di lustrargli un solo gioiello della corona», dice una sua famosa collega. Il successo, la popolarità e i cachet di cui gode Caruso a New York – la città che lo trasforma in un mito – non hanno termini di paragone con altri artisti nella storia dell’opera e segnano il suo ingresso nel cinema dalla porta principale. Non solo. «Non potevo prevedere che quei dischi avrebbero abbattuto tutti i pregiudizi che i grandi artisti avevano contro il grammofono», così commenta il discografico Fred Gaisberg l’incisione su 78 giri di Caruso, a Milano nel marzo del 1902. È Vesti la giubba, l’aria celeberrima dai Pagliacci di Ruggero Leoncavallo. Venderà più di un milione di dischi. Non era mai accaduto prima.
Duecentomila sterline, una fortuna, li guadagnerà con My Cousin e The Splendid Romance, girati per la Famous Players Lasky Corporation.
Caruso colleziona monete antiche, ama disegnare e dipingere. Nel 1903, per la prima volta, pubblica le sue caricature su «La follia», uno dei periodici più diffusi nella comunità italiana di New York. È l’inizio di una collaborazione che durerà senza interruzioni fino alla morte. Quei disegni, che ritraggono satiricamente i personaggi musicali del tempo, non sono l’opera di un dilettante ma svelano un altro aspetto del suo talento multiforme. Per lui, che da ragazzino disegnava fontane e le realizzava da operaio in fonderia, è una «soddisfazione del cuore». I magnati della stampa americana fanno a gara per aggiudicarseli, ma Enrico respinge tutte le offerte e rimane fedele ai piccoli editori del giornale italiano, ai quali non chiederà mai un centesimo.
Caruso resterà sempre orgogliosamente italiano. Un italiano che canta nella sua “lingua”.
La canzone napoletana è compagna di vita, lingua materna, radice che non si estirpa. La canta in pubblico, su cilindri e dischi, la accenna in compagnia di amici; la ricorda tra gli emigranti in America. Incide ventidue canzoni e le rende protagoniste del mercato discografico, contribuendo ad abbattere le barriere tra musica colta e popolare. Questo tenore del Sud, nato povero, senza studi “alti”, capisce più di chiunque lo spirito del suo tempo: intuisce che il belcanto più sottile e astratto deve evolversi e assumere novità espressive più sanguigne, possenti. È una platea globale ad amare Caruso incondizionatamente anche se rimarrà sempre legato all’America, che ricambia trasformandolo in un’icona planetaria.
Nella Montagna incantata di Thomas Mann il protagonista paragona un suo sogno all’esaltazione provata nell’ascoltare uno strepitoso «tenore italiano». È facile riconoscere in quella pagina la descrizione di Caruso. Da icona a mito il passo è breve. «Il più grande», secondo un sondaggio di «The Washington Post» sui protagonisti del millennio. Con lui solo un altro italiano, Michelangelo. Con Caruso nasce il concetto di star mediatica, cui si aggiunge quell’orgoglio italiano che gli farà scrivere pagine fondamentali nello sviluppo della moderna industria americana e (quindi) dello spettacolo a livello universale. Smette di respirare il 2 agosto 1921 nella sua terra. A New York la bandiera a mezz’asta della città dà «l’addio al tenore del secolo». A Napoli una folla infinita stringe in un lungo abbraccio quel figlio che in America, come in Italia, ha lasciato un vuoto di potere mai colmato.
Sigari cubani e marmellate del Wisconsin, alici dell’Alaska e olio d’oliva italiano, francobolli con il suo ritratto stampati in tutto il mondo ma anche asteroidi, Tuxedos Tobacco, caffè e mais a stelle e strisce: non c’è prodotto sul mercato che non sia stato battezzato nel nome di questo italiano illustre che – pur non attraente secondo i canoni estetici della moda – ha saputo conquistare l’ammirazione incondizionata di re e regine e nello stesso tempo degli ultimi della terra, quei migranti che si riunivano per respirare la nostalgia di casa sulle note delle sue canzoni.
Ora Caruso torna a casa grazie all’impegno del Ministero della Cultura, che ha voluto fortemente un museo nazionale pubblico dedicato a questo grande italiano, incastonato nel magnifico complesso del Palazzo Reale di Napoli, che comprende anche il maestoso Teatro di San Carlo. Il resto lo ha reso possibile una sinergia internazionale: gli archivi Ricordi e Puccini, ma anche Johns Hopkins Peabody Institute e Library of Congress, tra gli altri; i grandi teatri d’opera con i loro preziosi documenti (San Carlo, La Scala, Metropolitan Opera); la Cineteca di Bologna e l’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi, Villa Bellosguardo, residenza del tenore nel comune di Lastra a Signa e collezionisti privati.
Il museo propone un percorso complessivo su questo primo grande personaggio mediatico moderno, e sul suo fondamentale contributo alla costituzione di una più ampia rete di artisti italiani che hanno scritto pagine nella storia dell’industria dello spettacolo.
Fondamentale la partecipazione di un donatore speciale, Luciano Pituello, che con il suo Centro Studi Carusiani di Milano ha dedicato tutta la vita a collezionare cimeli e incisioni originali, e che ha generosamente donato il suo patrimonio per contribuire alla nascita di un progetto definitivo sul tenore. Fulcro della nuova installazione a Napoli: costumi, dischi, grammofoni d’epoca, spartiti originali con segni autografi dell’artista, gli acquerelli colorati e le celebri caricature dedicate ai grandi della musica, da Toscanini a Verdi. Un grande spazio, la monumentale Sala Dorica, accoglie non una semplice esposizione di cimeli ma una vera e propria stanza delle meraviglie, con animazioni in 3D e piattaforme multimediali, postazioni e installazioni musicali e cinematografiche.
È un omaggio doveroso, quello al tenore napoletano, un’affermazione orgogliosa della cultura italiana e partenopea: perché Caruso esprime tutta la potente incisività di un marchio che lega il nostro Paese all’eccellenza di artisti mai eguagliati e che, nel suo caso, sublimano il concetto del «più grande cantante mai esistito».
La sua rivoluzione consiste nell’avere incarnato con entusiasmante verità il sentimento popolare dell’Italia contadina; cantando però, allo stesso tempo, con la nobiltà formale e sostanziale, della scuola antica.
Cuore e talento. Passione e tecnica strepitosa. Nobiltà del belcanto e straordinaria, potente freschezza: in un’aria d’opera come nella canzone napoletana, dove si fa pura melodia e diventa, per un momento, preghiera laica di un intero popolo.

Laura Valente

Testo tratto dal libro Enrico Caruso. Da icona a mito, Marsilio Arte, Venezia 2023

 

BIO
Milano, Londra, New York: queste le città di una formazione che al liceo Classico aggiunge due lauree in Musicologia e Comunicazione e Gestione delle Imprese Culturali. Su una linea parallela, studi di danza e pianoforte. La carriera di Laura Valente comincia e si consolida nei Teatri alla Scala di Milano e San Carlo di Napoli. Fa parte del Cid Unesco “per le innovative direzioni artistiche” di importanti festival. Scrive per le maggiori testate nazionali e internazionali (da Repubblica al Corriere e Opera International). Per la guida del Museo Madre (2018-2021) Artribune la nomina “Migliore Presidente” e il Corriere della Sera la include tra le cento donne del 2020 per il “suo modo inclusivo di fare cultura”. Dal 2021 è Consigliere tecnico del Ministero della Cultura per i nuovi musei e la valorizzazione dei Beni culturali.
Dal 2022 firma il progetto Art of Education, Museo Diffuso per L’Università Luiss Guido Carli (Roma), piattaforma triennale di sperimentazione artistica contemporanea, inclusione e sostenibilità. Sono suoi il progetto scientifico e la curatela del Museo nazionale dedicato a Enrico Caruso, inaugurato a Palazzo Reale di Napoli il 19 luglio 2023.

Foto cover: Don José in Carmen di Georges Bizet, con Geraldine Farrar nel ruolo di Carmen, 1914, foto di Herman Mishkin

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