Si intitola “Spiritualità” il volume a cura di Francesco Monico, edito da Marsilio Editori, che racchiude gli esiti del dialogo fra Michelangelo Pistoletto e padre Antonio Spadaro su temi universali come l’arte, la religione, ma anche la tecnologia e l’intelligenza artificiale. Siamo partiti proprio da questi argomenti nella nostra conversazione con l’artista.
“Spiritualità nasce da un dialogo profondo e inaspettato tra Michelangelo Pistoletto e Antonio Spadaro. Due uomini con percorsi apparentemente distanti, ma uniti dalla volontà di esplorare le connessioni tra arte, filosofia, scienza e spiritualità. Il loro confronto non si è svolto in un contesto istituzionale, ma in un luogo neutro, senza appartenenze prestabilite: attorno a una tavola, condividendo pasti e cene, con Spadaro ospite a casa dell’artista”.
Attraverso queste parole Francesco Monico guida i lettori nel cuore di una conversazione che ha visto alternarsi la voce di uno dei più noti artisti italiani e quella del sottosegretario del Dicastero vaticano per la cultura e l’educazione. Ci siamo lasciati ispirare dalle tante riflessioni incluse nel volume per dare forma al nostro dialogo con Michelangelo Pistoletto.
Durante la sua conversazione con Antonio Spadaro, lei ha dichiarato: “Io vivo di emozione, non lo vedi che sono pieno di emozione? Ma è l’emozione della ragione”. Come artista e come essere umano, in quale modo ha strutturato il suo rapporto con l’emozione e con la ragione?
Io credo che tutto questo nasca da un bisogno di fondo: capire qualcosa di ciò che ci capita in quanto esistiamo. Tale mancanza di fondo – relativa alla conoscenza del sé – fa in modo che, appena emerge una risposta a questo bisogno di conoscenza, si crei una emozione. L’emozione per me è vedere che esistono risposte a domande non precise. Diventando adulto ho sentito crescere in me la domanda riguardante il perché dell’esistenza, ma l’umanità intera vuole avere la coscienza e la conoscenza di sé. Il bisogno di conoscere non è soltanto un fenomeno individuale, ma comune, collettivo. Ecco perché, a un certo punto, la religione diventa necessaria – la parola religione deriva da religare, unire: lega, unisce le persone in questa necessità di conoscere e di riconoscersi come parte di una umanità fatta di tanti esseri, tutti con la stessa radice. Ogni volta in cui c’è la conquista di un senso di vita derivante da un qualche tipo di risposta – che non è detto debba essere sempre totalmente razionale –, questa risposta crea una emozione. Succede qualcosa che è meravigliosamente rispondente ai bisogni di fondo.
A proposito di religione, ha affermato: “La religione è la banca dove mettiamo il bene più prezioso che abbiamo, cioè la vita”. Quale tipo di banca è la religione in questo momento storico, secondo lei?
La religione è una parte della vita, non solo a livello mentale, ma pratico, poiché l’economia, che sia pratica o intellettuale, dirige il modo di convivere. Economia vuol dire avere sempre la possibilità di sopravvivere grazie alla nostra attività, al nostro lavoro, alla nostra intesa con gli altri membri della società. Oggi ci troviamo ad avere un contrasto di interessi molto forte, dato da fenomeni di origine sia religiosa sia politica. Ogni tipo di religione ha una sua “clientela”, che fa parte del sistema politico ed economico, non soltanto ideale o spirituale. Quindi la spiritualità è profondamente agganciata alla vita comune. Quando parlo di banca, alludo a qualcosa che fa sì che ci siano delle basi titolari, come ci sono religioni titolari di banche diverse, che si fanno non solo concorrenza, ma la guerra per un possesso patrimoniale che occupa la dimensione del denaro e del suo utilizzo. Siamo arrivati all’uso spregiudicato del fenomeno economico, diventato addirittura una fenomenologia religiosa. Più sei potente economicamente, più sei divinamente considerato.
Quando lei parla di religione usa anche altri termini molto concreti, come “responsabilità”, argomento cardine della sua ricerca artistica. Infatti lei ha detto: “Non si tratta di attendere un giudizio divino, ma di assumerci la responsabilità di giudicare noi stessi, qui e ora, tra il paradiso e l’inferno che abbiamo costruito”. Che cosa si può fare, oggi, come umanità, come collettività, per pensare che il futuro sia ancora una possibilità?
È necessaria una inversione di tendenza nel campo della vita pratica. La capacità umana di creare assume una responsabilità molto precisa, che può essere a favore della guerra o contraria a essa. La pace è un fenomeno che l’essere umano può creare, non è una cosa che avviene come tutto il resto del prodursi della vita reale, planetaria, fisica. La vita fisica funziona attraverso una consunzione continua della natura verso se stessa. La natura mangia se stessa, si nutre di se stessa e si uccide per vivere. Invece l’artificio, che è una capacità umana, può permetterci di vivere, nutrirci e convivere senza il bisogno di mangiare esseri umani. Chi fa la guerra lo fa uccidendo persone, nutrendosi di esse per il proprio sistema di potere. Bisogna cambiare il registro mentale: eliminare il fenomeno del nutrimento attraverso l’uccisione dell’altro. Questa è l’unica conquista che oggi l’umanità può compiere per distinguersi dalla mostruosità e dalla malvagità – fenomeni altrettanto umani. L’essere umano non deve più nutrirsi di esseri umani – che è una cosa ben diversa dall’animale che in natura si nutre di un altro animale o dalla mucca che si ciba dell’erba. L’essere umano non deve soltanto trovare un equilibrio con la natura, ma all’interno del concetto di umano. Si parla di sostenibilità, ma stiamo distruggendo il mondo naturale, l’esistente, per fame di potere. Distruggendo la natura stiamo distruggendo praticamente e culturalmente l’essere umano. Siamo cannibali culturali. L’arte deve portare alla fine di questo cannibalismo e la prima compagna che può trovare l’arte in tale impresa è la religione, per unirsi, per ri-legarsi.
Noi a Cittadellarte stiamo facendo, attraverso l’educazione, un percorso pratico verso questa dimensione: lavorare con le persone della religione, che acquisiscono questa coscienza, è fondamentale per l’artista. L’arte ha come primi collaboratori i banchieri della religione.
Lei si riferisce all’arte anche come “radice del pensiero”.
L’Arte Povera nasce da questo bisogno di essenzialità, di eliminazione del superfluo. C’è una fenomenologia di fondo da considerare, quella della radice, della radicalità. Un seme, messo nella terra, si spacca e da questa divisione nasce un nuovo albero. Nella natura ritroviamo la fenomenologia della vita che si riproduce continuamente a partire dal seme.
Tutto questo si connette all’idea di fermentazione di cui lei ha parlato nel dialogo con Spadaro.
Il seme non rimane intatto, si altera. La vita avviene perché il seme crea una dualità in se stesso, dividendosi in due parti che si intaccano una con l’altra al punto da creare questa fermentazione continua in natura. Anche noi, con il pensiero e con le azioni, creiamo questa fermentazione, sapendo che da qualsiasi tipo di incontro nasce sempre un terzo elemento, come evidenzio della formula della creazione, che ho tratto dal segno matematico di infinito, dove c’è l’infinito, ma manca il finito. Il finito avviene incrociando due volte la stessa linea: tra i due cerchi dell’infinito nasce un terzo cerchio, del finito. Nei due cerchi esterni si verifica una continua fermentazione e nel cerchio centrale nasce un elemento nuovo, che non esisteva. Con questo simbolo si possono creare i mostri, il conflitto, ma i due elementi possono anche combinarsi creando un’armonia dinamica. Oggi la formula c’è: o continuiamo a usarla per farci la guerra o la usiamo per fare la pace.
In questo scenario, la tecnologia secondo lei è un utile mezzo per “passare direttamente dal possibile all’essere” e l’intelligenza artificiale “uno strumento per elevare l’umanità, per costruire un futuro più equo e sostenibile” nell’ottica di una “spiritualità algoritmica”. In veste di artista, quale uso fa di questi strumenti e come auspica che l’umanità ricorra a essi non per costruire mostri ma incontri, relazioni?
La natura ha creato questo universo, ben più esteso di quanto possiamo immaginare. C’è un principio unico, quello dell’unione fra spazio-tempo e massa-energia. Questa dualità esiste nella possibilità di calcolo che noi usiamo con gli algoritmi, dove abbiamo un concetto quasi di assenza pre-universale e di una presenza universale che rispondono alla domanda: da dove viene l’universo? L’universo viene dal vuoto e procede e si estende in mezzo al vuoto. Il vuoto può essere considerato come lo zero, l’uno è ciò che di fisico si sviluppa in questo zero. Lo zero non è il nulla, è il vuoto. Nel mio Quadro specchiante lo specchio non ha immagine propria, è totalmente vuoto e per questo si può permettere di accogliere tutte le immagini possibili dell’esistente. È zero rappresentazione, ma diventa infinita rappresentazione perché raccoglie l’infinito dell’esistente. Nel mio Quadro specchiante c’è lo zero, vuoto, che contiene il tutto. Zero e uno è la formula che serve per concepire creativamente l’universo e questo universo creativamente concepito è l’intelligenza artificiale che gli esseri umani stanno sviluppando. Il potere degli esseri umani è creare un universo con la capacità radicale di mettere insieme lo zero e il tutto. Ogni cosa esistente esiste grazie a questa combinazione della dualità. 1 e 1 fa 3, questa è la formula che ho identificato. Ciascun cerchio esterno è un 1, contiene tutti gli elementi esistenti, questa dualità, incontrandosi nel cerchio centrale, fa nascere un elemento che non esisteva, il numero 3. La formula c’è, bisogna capire se la useremo per la distruzione o per la pace, che vuole anche dire equilibrio con la natura, tra uomo e natura, tra intelligenza artificiale e intelligenza naturale.
Con questo suo ragionamento sul vuoto, che lei porta avanti dall’inizio della sua attività artistica, ha messo in discussione la paura del vuoto. E il non avere paura credo possa essere una componente essenziale dell’equilibrio di cui parlava.
Comprendo la paura del vuoto. Nel caso dell’Alzheimer, ad esempio, si crea un vuoto tra un pensiero e un altro, che non sono più collegati. A causa della malattia, il vuoto, nel cervello umano, non è più usato, come dovrebbe essere, per unire gli elementi staccati, che rimangono tali. Questa paura del vuoto riguarda non soltanto la perdita della cognizione, ma anche della vita. Invece è proprio nel vuoto che si crea la vita. Un vuoto universale, che sta dentro all’universo, ma anche fuori. Prima della nascita dell’universo c’era solo il vuoto, un vuoto generativo, continuamente in azione.
Che esperienza è stata, per lei, il dialogo con Antonio Spadaro su questi temi?
È stato molto proficuo perché da parte mia c’è una disponibilità verso la religione e da parte di Spadaro una disponibilità verso l’arte. Il testo che è derivato dal dialogo non è chiuso e conclusivo, ma mette insieme due pensieri continuamente differenti affinché il lettore possa fare da terzo cerchio. Il lettore entra in gioco perché trova una dinamica mentale che ne include il ragionamento. Ogni lettore può avere la propria visione, che introduce nella trinamica di questo testo.
Intervista a cura di Arianna Testino
BIO
Michelangelo Pistoletto (1933) è uno dei più celebri artisti italiani, riconosciuto a livello internazionale. Le sue opere sono presenti nelle collezioni dei maggiori musei del mondo. Con la creazione a Biella di Fondazione Pistoletto-Cittadellarte e dell’Accademia Unidee, mette l’arte in relazione attiva con i diversi ambiti del tessuto sociale al fine di ispirare e produrre una trasformazione responsabile della società. Nel 2003 è insignito del Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia. Con Marsilio ha pubblicato anche Il Terzo Paradiso (2010).
Didascalie:
Michelangelo Pistoletto, Autoritratto argento, 1960, olio, acrilico e argento su tavola, due pannelli, cm 200 x 200. Fondazione Pistoletto, Biella. Photo Alessandro Lacirasella
Michelangelo Pistoletto, Tre ragazze alla balconata, 1962-1964 velina dipinta su acciaio inox lucidato a specchio, cm 200 x 200. Walker Art Center, Minneapolis. Photo Paolo Bressano
Michelangelo Pistoletto, Metrocubo d’infinito, 1966, specchio e corda, cm 120 x 120 x 120. Fondazione Pistoletto, Biella. Photo Paolo Pellion
Michelangelo Pistoletto, Venere degli stracci, 1967, calco di Venere classica in cemento, stracci, mica, cm 150 x 280 x 100. Collezione dell’artista, Biella. Photo Paolo Pellion
Michelangelo Pistoletto, L’arte assume la religione, 1977, installazione di uno specchio sull’altare della Chiesa di San Sicario, 1977. Fotografia utilizzata come poster e copertina del catalogo per la mostra Divisione e moltiplicazione dello specchio – L’arte assume la religione, Galleria Persano, Torino 1978. Photo Paolo Pellion
Michelangelo Pistoletto, Annunciazione Terrae Motus, 1962-1984, serigrafia su acciaio inox lucidato a specchio, due elementi, ciascuno cm 250 x 125. Collezione Lucio Amelio alla Reggia di Caserta. Photo Courtesy Reggia di Caserta
Michelangelo Pistoletto, Luogo di raccoglimento e di preghiera, 2000, installazione permanente. Istituto Oncologico Paoli-Calmettes, Marseille. Photo M. Spiluttini
Michelangelo Pistoletto, Twentytwo Less Two, 2009, performance e installazione, Biennale di Venezia, 2009, specchio, legno, 22 elementi, cm 300 x 200 ognuno. Photo A. Luxem. Courtesy Galleria Continua
Michelangelo Pistoletto, Il Terzo Paradiso nel Bosco di Francesco di Assisi, 2010. Un’opera permanente, inaugurata l’11 settembre 2010, comprendente 121 ulivi collocati in un’area percorribile di 3000 metri quadri all’interno del bosco di Francesco d’Assisi, restaurato a cura del FAI. Photo Lucio Lazzara. Courtesy FAI – Fondo Ambientale Italiano
Michelangelo Pistoletto, Codice Trinamico e Formula della Creazione (2021) – Lubiana, 2022. Veduta della mostra Michelangelo Pistoletto – Fourth Generation alla Cukrarna Gallery di Lubiana. Codice Trinamico (2021), Formula della Creazione (2021), al centro l’opera Rotolo (1988), esposto in questa occasione srotolato. Photo Alessandro Lacirasella
Michelangelo Pistoletto. Photo Andrea Oitana (cover photo)
Michelangelo Pistoletto, INFINITY. Photo Pierluigi Di Pietro
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