Il Palazzo Ducale di Genova rende omaggio a Paolo Di Paolo nel centenario della sua nascita con la mostra a cura di Giovanna Calvenzi e Silvia Di Paolo. Trecento fotografie, fra le quali molte inedite e per la prima volta anche a colori, insieme a materiali d’archivio, riviste d’epoca, video e documenti originali, ripercorrono la vicenda dell’autore a partire dagli esordi nel 1953. Per conoscere la sua storia nel dettaglio, vi proponiamo il testo della curatrice Giovanna Calvenzi pubblicato all’interno del catalogo edito da Marsilio Arte
Cosa c’entra Greta Garbo?
«Con uno sguardo attento, sensibile e acuto, Paolo Di Paolo ha saputo documentare le trasformazioni del paesaggio urbano e rurale, così come l’emergere di nuovi stili di vita, cogliendo con rara empatia la complessa coesistenza tra la memoria di un mondo in dissoluzione e l’affacciarsi di una nuova epoca.
È per questo che lo annoveriamo tra i più importanti fotografi italiani della seconda metà del Novecento». Antonella Polimeni, rettrice della Sapienza Università di Roma, ha ricordato con queste parole il conferimento della laurea magistrale Honoris Causa a Paolo Di Paolo, un giorno prima del suo novantottesimo compleanno, il 16 maggio 2023. Il coronamento di una vita intensa e di una carriera professionale straordinaria, di inusuale stranezza, quella di Paolo Di Paolo, che avevo incontrato per la prima volta nel 2018. In modo del tutto inaspettato avevo ricevuto una telefonata da Bartolomeo Pietromarchi, allora direttore del MAXXI Arte di Roma, che mi aveva chiesto se avrei voluto curare una mostra di Paolo Di Paolo. Con un certo imbarazzo gli avevo risposto di non conoscerlo (a posteriori devo aggiungere che Paolo Di Paolo mi avrebbe ricordato questa “ignoranza” in molteplici occasioni). Comunque con grande signorilità Pietromarchi non aveva battuto ciglio e mi aveva girato una selezione di fotografie. Mi sono subito entusiasmata: vedevo sul monitor fotografie che non avevo mai visto, che raccontavano la vita sulle spiagge italiane, a Roma, in Giappone, che ritraevano in modo complice e magistrale i più famosi attori degli anni cinquanta e sessanta. Confesso di essere rimasta senza parole. È nato così, con il mio inevitabile senso di colpa e con la pluriricordata vergogna per la mia ignoranza, un rapporto professionale e di amicizia che mi avrebbe legato a Paolo Di Paolo, al suo lavoro, a sua figlia Silvia, a sua moglie Elena e oggi anche al suo paese natale, Larino, in Molise.
La mostra al MAXXI di Roma, dal titolo Paolo Di Paolo. Mondo perduto, si era quindi inaugurata il 16 aprile 2019 dopo alcuni mesi di lavoro con Paolo e Silvia per decidere insieme come presentare non solo una sequenza di fotografie ma un mondo intero rimasto sepolto nella cantina di casa per quasi cinquant’anni. Paolo aveva un’eccellente memoria per fatti e nomi ma le date gli importavano molto poco. Aveva anche, come accade ai migliori autori, un affetto particolare per alcune immagini che io ritenevo poco significative e con garbo reciproco cercavamo di far convergere verso un soddisfacente risultato comune le nostre diverse opinioni. Nella realizzazione del libro che accompagnava la mostra trovare un accordo era stato facile. Ma le concessioni regalatemi per il libro Paolo se le era riprese per la mostra: mi sono trovata di fronte a diverse sorprese. Immagini che avevamo lasciato da parte venivano esposte con ampie didascalie, i ritratti di Oriana Fallaci o di Raquel Welch erano diventati preziose e divertenti sequenze e persino l’immagine che, gigantesca, apriva la mostra (e che oggi è in copertina di questo libro) era stata ritrovata da Silvia Di Paolo solo dopo la chiusura del libro (era stata pubblicata su «Il Mondo» non firmata, tanto che Paolo Di Paolo si era chiesto se davvero l’avesse fatta lui).
Tradurre la complessità di una vita professionale e di scelte poco comprensibili, poi, non era stato facile. Avevo sentito l’esigenza non solo di ricostruire la sua storia personale ma di porre anche le basi per collocare la figura di Paolo Di Paolo nel momento storico che l’Italia, l’editoria, la fotografia stavano attraversando quando il giovane molisano da poco arrivato a Roma aveva deciso che la fotografia avrebbe potuto diventare la sua professione. E avevo scritto: «Nel 1954, quando Paolo Di Paolo comincia a fotografare credendoci, Henri Cartier-Bresson, Robert Doisneau, Edouard Boubat, Izis, Brassaï operano a Parigi e in giro per il mondo, Bill Brandt vive e lavora a Londra, Robert Frank sta partendo per gli Stati Uniti dove André Kertész si è già stabilito da oltre un decennio. Robert Capa morirà in maggio a Thái Binh, in Vietnam, Edward Weston ha già smesso di lavorare mentre Richard Avedon e Irving Penn a New York sono in piena ascesa. Ma l’elencazione non è ancora finita: William Klein pubblicherà a breve il suo primo libro, Life is Good & Good for You in New York, Helmut Newton non è ancora Helmut Newton e lavora solo per “Vogue” Australia. In Italia Federico Patellani è il più puntuale testimone della realtà contemporanea, Alberto Lattuada ha da tempo abbandonato la fotografia per il cinema e Gianni Berengo Gardin è ancora un fotografo amatore a Venezia. L’agenzia Magnum ha già sette anni di vita e nel 1955 il giovane Tazio Secchiaroli creerà l’agenzia Roma Press Photo, specializzata in cronaca politica e cronaca rosa». Questa sintetica riflessione sugli autori più noti a livello internazionale e di quello che nel 1954 stavano realizzando era un pretesto per collocare il giovane Paolo Di Paolo sulla scena della fotografia. Scena che, tuttavia, i tempi e i sistemi di diffusione delle informazioni in quegli anni non gli permettevano certamente di conoscere soprattutto perché il suo interesse prioritario era verso la filosofia. Paolo Di Paolo arriva dunque a Roma e grazie ai suoi interessi e alle sue frequentazioni entra nel vivo della realtà romana e la fotografia in pratica lo investe da subito. È vittima di un colpo di fulmine nei confronti di una piccola, magnifica Leica e il suo amore per l’oggetto presto si trasforma in amore per la fotografia. Collabora e cura la grafica di una rivista di poesia e fotografia, «Montaggio», e subito dopo inizia a collaborare a «Il Mondo», periodico diretto da Mario Pannunzio. «Il Mondo» è un giornale che oggi definiremmo snob, con più collaboratori che lettori, come diceva lo stesso Pannunzio, che esisteva da poco più di cinque anni ed era diventato velocemente un punto d’arrivo imprescindibile per i fotografi non solo italiani. Nel corso dei suoi diciassette anni di esistenza verranno pubblicati 890 numeri, l’ultimo dei quali l’8 marzo 1966, con una struttura in pratica identica: sedici pagine, sempre con la stessa veste grafica, da dieci a venti fotografie italiane o straniere in ogni numero, selezionate per essere autonome, non illustrazione dei testi. Per Paolo Di Paolo «Il Mondo» diventa il referente più importante, anche se nel frattempo aveva iniziato a collaborare con «Tempo» e «La Settimana Incom Illustrata», in pratica con i periodici più importanti dell’epoca. Per Pannunzio Di Paolo sarà il fotografo prediletto, il più pubblicato (573 fotografie), il primo del quale verranno firmate le immagini e anche l’autore dell’accorato telegramma spedito al direttore alla chiusura del giornale: «Per me e per altri amici muore oggi l’ambizione di essere fotografi». Con estremo piacere Paolo Di Paolo amava ricordare la sua collaborazione con «Il Mondo», le sue visite in redazione, il rito della presentazione delle fotografie al direttore, il suo modo di lavorare e di scegliere le immagini tanto che, in occasione della sua mostra al MAXXI, aveva voluto ricostruire con rigore “filologico” lo studio di Pannunzio cercando nei mercati dell’antiquariato gli stessi mobili, gli stessi accessori.
L’editoria italiana negli anni cinquanta vive un momento di particolare fervore. I rotocalchi illustrati hanno alte tirature e ottima diffusione. La ricostruzione, dopo gli anni della guerra e il ventennio fascista, è iniziata e il boom economico è alle porte. Tuttavia un censimento ISTAT del 1951 aveva presentato l’Italia come paese prevalentemente agricolo con 47 milioni di abitanti, un tasso di analfabetismo del 12,9% e di semianalfabetismo del 46,3%. La fotografia poteva quindi essere ottimo strumento di informazione per quella parte di popolazione che guardava meglio di quanto leggesse. A Roma era tornato il cinema e quindi la presenza di attrici, attori, registi in città doveva essere documentata. Su suggerimento di un’amica, Paolo Di Paolo fotografa una coppia di neofidanzati celeberrimi, Lucia Bosé, Miss Italia 1947, e il torero Luis Dominguín che per lui si mettono in posa e scherzano. Sarà questo il registro che caratterizzerà sempre la sua relazione con il mondo dell’arte: rispetto, allegra ironia, complicità con i suoi soggetti, ma anche una grande capacità di raccontare le persone e quanto le circonda, mettendole al centro di immagini che ancora oggi conservano intatta la loro forza narrativa. È un inizio straordinariamente felice che gli aprirà le porte dei migliori settimanali. Alla fine degli anni cinquanta Paolo Di Paolo può dirsi un fotografo affermato. Dichiarava: «Mi sentivo libero. Facevo un lavoro straordinario, conoscevo moltissima gente. Ogni mattina mi svegliavo e potevo decidere che cosa avrei fatto». Nel 1959 è il più apprezzato collaboratore di «Tempo» diretto da Arturo Tofanelli e per un’altra rivista della Aldo Palazzi Editore, «Successo» (mensile diretto sempre da Tofanelli), realizza un epico viaggio dedicato alle vacanze degli italiani. La lunga strada di sabbia è un racconto per immagini con testi di Pier Paolo Pasolini destinato a diventare una tappa imprescindibile della storia della fotografia italiana.
Pasolini e Di Paolo partono insieme da Roma, prima tappa, verso la frontiera francese. Sono compagni di strada inusuali, inizialmente poco compatibili. Paolo Di Paolo più tardi ricorderà: «Lui cercava un mondo perduto, di fantasmi letterari, un’Italia che non c’era più, io cercavo un’Italia che guardava al futuro». E tuttavia il loro viaggio (che dopo la prima tappa realizzeranno separatamente) ha un grande successo. Il mensile della Palazzi pubblicherà in tre puntate una ventina di immagini, non necessariamente le più interessanti. Nel 2023, grazie a un lungo lavoro in archivio, Silvia Di Paolo ha potuto regalarci un volume con centosessanta immagini4 che ci raccontano non solo “le vacanze degli italiani” nel 1959 ma un mondo che in breve sarebbe scomparso.
Nel decennio successivo Paolo Di Paolo continua con inarrestabile successo a fotografare i protagonisti del mondo della cultura, dell’arte e del cinema, a viaggiare nel mondo, a realizzare storie che spaziano dal porto di Genova all’Iran, dall’Austria al Giappone, da New York al Texas, da Milano a Mosca. Inizia a collaborare con Irene Brin. Ricorderà: «Era la più snob delle giornaliste italiane, figlia di un generale ligure e di un’aristocratica italo-austriaca. Nel 1934 aveva cominciato a scrivere per “Il Lavoro” di Genova dove l’aveva scoperta Leo Longanesi. “Ti chiamerai Irene Brin”, le aveva detto invitandola a collaborare a “Omnibus”, e Maria Vittoria Rossi era scomparsa per sempre. Trasferitasi a Roma, si era sposata con Gaspero Del Corso e dopo la guerra avevano aperto in via Sistina la raffinatissima Galleria l’Obelisco di Gaspero e Maria Del Corso».
Però le cose stanno cambiando. Nel 1966 «Il Mondo» chiude. Nel 1968 la direzione di «Tempo» passa da Arturo Tofanelli a Nicola Cattedra e il nuovo fronte di collaborazioni con le riviste di moda non è soddisfacente come vorrebbe. Il mondo dell’editoria e della fotografia si stanno trasformando, i tempi stanno cambiando. All’impegno politico del Sessantotto e del post Sessantotto si affiancano il lavoro dei paparazzi e un calo di interesse nei confronti dei periodici illustrati generato in parte dalla crescita degli ascolti televisivi. Paolo Di Paolo, che per tutta la sua vita professionale aveva dichiarato di «fotografare per diletto» non è certo che il futuro che gli si prospetta possa riservargli le stesse soddisfazioni. Ha 43 anni, si sposa con Elena, lascia Roma e va a vivere in campagna. Il suo archivio fotografico, la sua vita di fotografo, finiscono in cantina. Dove, quasi cinquant’anni più tardi, per sua e nostra fortuna, sua figlia Silvia ritroverà quel “mondo perduto” che non abbiamo ancora finito di scoprire. Il giorno dell’inaugurazione della sua grande mostra al MAXXI nel 2018 Paolo Di Paolo si era presentato al pubblico con un’allegra, magnifica, definizione di sé: «Sono la Greta Garbo della fotografia».
Giovanna Calvenzi
Testo tratto dal catalogo della mostra PAOLO DI PAOLO. Fotografie ritrovate, Marsilio Arte, Venezia 2025
BIO
Giovanna Calvenzi dal 1985 al 2019 è stata photo editor nella redazione di diversi periodici italiani. Nel 1998 è stata direttore artistico dei Rencontres Internationales de la Photographie di Arles, nel 2002 “guest curator” di Photo España a Madrid e nel 2014 delegato artistico del Mois de la Photo a Parigi. Ha insegnato storia della fotografia e photo editing a Milano e a Bologna e svolge un’intensa attività di studio sulla fotografia contemporanea. Dal 2013 si occupa dell’Archivio Gabriele Basilico e dal 2016 al 2022 è stata presidente del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo-Milano.
INFO
PAOLO DI PAOLO. Fotografie ritrovate
fino al 6 aprile 2026
PALAZZO DUCALE – Sottoporticato
Piazza Matteotti 9, Genova
https://palazzoducale.genova.it/
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