Editoriale

da MArte

Perché la rinascita dell’arte contemporanea a Venezia è importante per il mondo

di Nicolas Berggruen

Nicolas Berggruen, il filantropo che sta trasformando Palazzo Diedo in un polo culturale, ha un progetto faraonico per la città dei Dogi

Condividi su
Tweet about this on Twitter
Twitter
Share on Facebook
Facebook

In un momento in cui le culture si chiudono in se stesse e le barriere politiche rendono difficile il libero scambio di idee, l’arte può avere un ruolo nel riunire il mondo ‒ e Venezia è il nesso neutrale che serve.

Quattrocentoquarantacinque anni fa ‒ o, in base alla considerazione che i veneziani hanno del tempo storico, la settimana prima che l’ultimo Patriarca Giovanni Trevisano ponesse la pietra angolare per la Chiesa del Santissimo Redentore di Andrea Palladio alla Giudecca.
Il Senato della Repubblica aveva commissionato la chiesa per ringraziare Dio di aver messo fine alla peste che aveva decimato la popolazione di Venezia nei due anni precedenti ‒ una crisi che fu uno stupefacente ribaltamento delle sorti della città e, agli occhi della gente, forse anche un giudizio del Cielo. La peste era arrivata quasi subito dopo la vittoria di Venezia nella Battaglia di Lepanto, lo scontro navale che scombussolò il mondo e ricacciò l’Impero Ottomano nel Mediterraneo dando all’Europa cristiana un’iniezione improvvisa, forse arrogante, di fiducia. L’attenuazione della peste nel 1577 sembrò quindi una duplice ripresa, non soltanto dalla malattia mortale ma anche dall’avvento dell’insicurezza che aveva fatto seguito al grande trionfo militare. Non stupisce quindi che quando la Chiesa del Redentore fu finalmente consacrata, nel 1592, Venezia avesse eretto uno speciale ponte di barche per l’occasione, che il doge e i senatori attraversarono dalle Zattere per partecipare alla messa celebrativa. Il fatto che la stessa processione continui a svolgersi ancora oggi per commemorare l’anniversario è caratteristico dei veneziani e una prova impressionante del significato dell’episodio.

Non posso fare a meno di pensare a questa storia oggi, mentre i visitatori si dirigono alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia e mentre in Ucraina infuria una guerra devastante, due anni dopo che la piaga del Covid ha imposto il lockdown alla città e al mondo. Anche questa è in un certo senso una processione cerimoniale, in cui curatori e collezionisti d’arte, dirigenti di musei e critici, artisti e gli appassionati che seguono il loro lavoro attraversano il mare per arrivare a Venezia all’ora stabilita. Questi pellegrini vengono a Venezia perché ospita il più grande evento d’arte al mondo: una combinazione di rito e festa a cui si deve partecipare, se non altro perché lo si fa fin da quando se ne ha memoria. Il rito della Biennale si potrebbe persino definire un atto di fede. Viene effettuato nella convinzione che l’arte abbia il potere di rasserenare, illuminare e salvare, così come si riteneva che il potere celeste avesse riscattato Venezia della peste.

Qualcuno potrebbe chiedersi, tuttavia, se quella fede è ben riposta. Può darsi che la peste del 1575-76 fosse finita perché il Cielo aveva concesso la grazia a una città umiliata ‒ o forse successe perché i veneziani si erano salvati, dopo un tragico ritardo, istituendo una quarantena. Analogamente, è possibile che le centinaia di opere d’arte portate a Venezia da ogni parte del mondo per la Biennale spingano le persone ad agire in modo positivo riguardo alla moltitudine di temi pressanti affrontati, dal cambiamento climatico e dall’impatto incombente della schiavitù e del colonialismo alla devastazione dell’attuale guerra e della relativa crisi umanitaria. O forse, come qualcuno sosterrebbe, il pubblico della Biennale già conosce e accetta le opinioni e gli atteggiamenti espressi in queste opere d’arte e ricava dalla visione principalmente un senso di autogiustificazione, innalzamento dello status e guadagno finanziario.

In Le pietre di Venezia, John Ruskin sostiene che a Venezia la società e la cultura siano entrate in un lungo e lento declino man mano che i cittadini hanno gradualmente smesso di focalizzare la loro energia su ideali religiosi guardando invece alla ricchezza e ai piaceri terreni. I critici culturali contemporanei sono forse troppo duri quando chiedono quale sia l’ideale alla base del pellegrinaggio di oggi alla Biennale?
Risponderò da persona convinta che la fede nel potere dell’arte non sia affatto mal riposta, e da persona profondamente impegnata non soltanto per la storia e le tradizioni di Venezia ma anche per la vitalità attuale e il potenziale futuro della città. Lasciate che vi spieghi perché penso che le arti visive siano oggi più importanti che mai, e perché Venezia è il posto dove possono e devono fiorire.
Innanzitutto, come John Ruskin sapeva, fare arte è una modalità di pensiero e di scoperta. Può essere un’impresa intellettuale fortemente avvincente per via del suo appeal per i sensi e le emozioni, e ha la capacità di essere straordinariamente rivelatrice a causa del suo approccio vorace ai materiali. Gli artisti sono l’esatto parallelo dei cosiddetti soggetti “primitivi” degli studi di Claude Lévi-Strauss, che trovava certi oggetti “good to think with”. L’unica differenza è che oggi gli artisti possono trovare praticamente qualsiasi cosa “good to think with”.

Al Berggruen Institute, abbiamo incoraggiato e forse contribuito a portare avanti questa tendenza onnivora attraverso le nostre Transformations of the Human School, in cui offriamo borse di studio ad artisti che sono interessati a lavorare con scienziati ricercatori e ingegneri nel campo dell’intelligenza artificiale e della biotecnologia. Sviluppando il programma, abbiamo proposto che queste nuove tecnologie mettano in discussione i nostri concetti tradizionali rispetto a cosa significhi essere umani. Abbiamo riconosciuto che gli artisti hanno già iniziato a esplorare le implicazioni di come vediamo noi stessi, come ci comportiamo nei confronti degli altri, e immaginiamo il nostro futuro. Ritenevamo che gli artisti che si muovono in questi campi avrebbero beneficiato, così facendo, dell’esperienza della ricerca a degli sviluppi più avanzati, e volevamo se possibile far entrare l’arte e l’indagine filosofica nel processo di ricerca di scienziati e ingegneri. Per inaugurare Transformations of the Human, abbiamo garantito la possibilità di lavorare in laboratorio agli artisti Nancy Baker Cahill, Ian Cheng, Stephanie Dinkins, Mara Eagle, Pierre Huyghe, Kahlil Joseph, Agnieszka Kurant, Rob Reynolds, Martine Syms e Anicka Yi.
È soltanto uno dei molti esempi di come gli artisti contemporanei, oltre a reagire ai problemi più importanti del nostro tempo ‒ esprimendo pareri al riguardo e spronando ad ‒, stiano compiendo una ricerca preziosa e stiano contribuendo al sapere e alla conoscenza. Visitare la 59. Esposizione Internazionale d’Arte a Venezia significa tuffarsi nell’equivalente di un programma di dottorato trasversale alle università, in cui le dissertazioni sono di volta in volta inquietanti, stupende e strazianti.

Ma la domanda rimane: perché Venezia? La Biennale continua a esercitare un’influenza impareggiabile, grazie alla sua longevità e al suo prestigio, e anche all’eccezionale fascino turistico della città. Ma molti secoli sono passati da quando Venezia era il centro delle rotte commerciali e delle direttrici di scambio culturale del mondo. Malgrado la sua continua forza artigianale, Venezia è ora un’importatrice netta, più che una produttrice ed esportatrice, di innovazione artistica. Il titolo di “capitale della cultura mondiale” è andato molto tempo fa a Parigi, poi a New York, e oggi potrebbe forse spettare più legittimamente a Los Angeles o Shanghai.
O così potrebbe sembrare. Ritengo che oggi Venezia, con un carattere che è al contempo profondamente locale e orgogliosamente transnazionale, possa tornare a essere una porta tra Oriente e Occidente. Invece di essere un baluardo contro mezzo mondo, come nella Battaglia di Lepanto, può avvicinare le persone in una cornice di pace. Credo anche che Venezia, a parte la Biennale, rimanga se non la Regina dell’Adriatico, la sua Bella Addormentata culturale. I suoi artisti e amministratori, imprenditori del sociale e pensatori, sono già al lavoro e desiderosi che le loro conquiste vengano riconosciute. La città è pronta a risvegliarsi nel campo dell’attività e della creazione artistica, durante tutto l’anno.

La Fondazione di Venezia è stata leader di questa rinascita, e ha collaborato recentemente con il Berggruen Institute per trasformare la leggendaria Casa dei Tre Oci alla Giudecca nel nostro centro di attività europeo. Progettata dall’artista Mario De Maria come sua casa e studio, in passato la casa neogotica centenaria ha molto spesso ospitato artisti e intellettuali, tra cui i partecipanti alla Biennale, ed è stata sede di incontri e dibattiti culturali. A partire dal 2012, sotto gli auspici della Fondazione di Venezia, la Casa dei Tre Oci è stata uno spazio espositivo pubblico per mostre importanti. Ora come sede del Berggruen Institute, oltre alle mostre che continueranno, ospiterà un programma internazionale di summit, laboratori, simposi e mostre nell’ambito delle arti visive e dell’architettura.
La Casa dei Tre Oci rappresenta il nostro impegno per riportare Venezia a essere una importante porta internazionale per le idee, impegno ora ampliato a Palazzo Diedo, che coltiverà la creazione artistica. Questo palazzo nel cuore di Cannaregio è stato progettato da Andrea Tirali per una delle più antiche famiglie veneziane, i Diedo, ed è stato di proprietà del Comune di Venezia dal 1888. Ora è la sede della nuova Berggruen Arts & Culture, che ospiterà mostre, installazioni, simposi e un programma di artist-in-residence con l’obiettivo di promuovere la creazione di arte a Venezia.
Palazzo Diedo è attualmente in fase di rinnovo e restauro; abbiamo nominato direttore artistico Mario Codognato, curatore internazionale di origine veneziana e abbiamo dato il benvenuto a Sterling Ruby come primo artist-in-residence. Famoso per le sue ricerche filosofiche su una gamma strabiliante di tecniche e mezzi, tradizionali e nuovi, Ruby sta usando Palazzo Diedo per riflettere su e portare nel presente la tradizione di fare arte e artigianato a Venezia. Anche se si stima che Palazzo Diedo non aprirà al pubblico con il suo programma completo fino al 2024, Ruby è attualmente al lavoro sulla prima fase di un progetto di installazioni a lungo termine, HEX, il primo elemento del quale sarà esposto per tutta la 59. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale.

Per quanti di noi ‒ e siamo in molti ‒ desiderano vedere Venezia riconquistare il suo ruolo di generatrice di innovazione artistica, luogo di incontro e promotrice di nuove idee, il progetto di aiuto a questa rinascita richiede in effetti un atto di fede. Ma siamo chiari: non è la fede che, secondo lo stereotipo, sostituisce senza riflettere le opere d’arte alla religione.
I sostenitori di Venezia non venerano l’arte contemporanea come un idolo ma la rispettano come una componente vitale, indispensabile alla vita intellettuale del mondo ‒ e consideriamo Venezia come la città che è storicamente, geograficamente e culturalmente posizionata per portare le opere d’arte più significative di oggi al centro della conversazione internazionale.
Investire in questa convinzione significa avere fede nel fatto che le sofferenze causate dalla pandemia e dalla guerra non hanno messo fine alle nostre capacità creative, ma possono invece ispirarci a usarle in modo più saggio e vigoroso. Anche noi possiamo lavorare per riportare idee e arte a Venezia in risposta alla pestilenza e alla violenza‒ se non con una chiesa, con una struttura di incoraggiamento e sostegno continuo per pensatori e artisti di tutte le discipline. Se il passato ha qualcosa da insegnarci è che il lavoro delle nostre mani potrebbe anche riuscire a reggere per quattrocento anni.

Nicolas Berggruen

BIO
Nicolas Berggruen (Parigi, 1961) è fondatore e presidente del Berggruen Institute e ne ha capitanato la crescita, affermando la sua presenza a Los Angeles, Pechino e Venezia. Focalizzandosi sulle grandi trasformazioni della condizione umana determinate da fattori come il cambiamento climatico, la riorganizzazione dell’economia e della politica internazionali, e i progressi della scienza e della tecnologia, l’Istituto cerca di collegare e sviluppare idee nel campo delle scienze umane con l’obiettivo di ottenere miglioramenti pratici della governance tra culture, discipline e confini politici.

INFO
Sterling Ruby. A Project in Four Acts
BERGGRUEN ARTS & CULTURE – PALAZZO DIEDO
Fondamenta Diedo, Venezia

Foto cover: Nicolas Berggruen e Mario Codognato a Palazzo Diedo, Venezia 2022. Photo Luca Zanon

Articoli correlati

Iscriviti, la nostra newsletter ti aspetta!

Ricevi C’è vita su MArte per rimanere aggiornato su mostre, eventi, artisti, libri.

Registrandoti confermi di accettare la nostra privacy policy.