Ideato da Phaidon e pubblicato in Italia da Marsilio Arte, “The Christmas Book” racchiude fra le sue pagine un viaggio all’insegna dell’arte, del design e della cultura pop, svelando una serie di collegamenti inaspettati. Abbiamo chiesto ad Antonio Mancinelli di sfogliarlo insieme a noi
È la festa che nessuno di noi ha chiesto, ma alla quale tutti, inevitabilmente, finiamo per prendere parte. Si può essere atei, agnostici, devoti soltanto all’ultima stagione di Netflix, ma quando arriva metà dicembre, ogni difesa crolla: entriamo, senza rendercene conto, nel territorio incantato e un po’ bizzarro delle feste.
Perfino l’intellettuale più disilluso, che normalmente legge solo Camus e ascolta solo jazz atonale, si scopre a sospirare davanti a un abete decorato, come se potesse ricreare la naïveté di un’infanzia che probabilmente non è mai esistita.
Anche la nostra idea di tradizione in generale è un paradosso di deliziosa, squisita ipocrisia: il brindisi in famiglia si consuma più a uso e consumo dei social che dello spirito conviviale, siamo posseduti dalla tenace convinzione che, alla fine, l’importante sia “stare insieme” come se non ci fossimo visti tutto l’anno, come se un pranzo non fosse solo il pretesto per un’altra illusione di armonia.
Una trappola gustosa e luccicante, un “inganno splendente”, avrebbe detto Platone.
Però, caspita se lo amiamo. Tutti. Appassionatamente.
A collazionare e collezionare (quasi) tutto ciò che sotto il concetto esteso di “Natale” ha ispirato in quasi un millennio l’arte, il food, la moda, la cultura, i fumetti, c’è The Christmas Book, pubblicato in Italia da Marsilio Arte. Un’opera sontuosa, illustrata e capricciosamente eclettica, la celebrazione di un fenomeno culturale che ha travalicato i confini della religione per diventare una festa secolare, una performance collettiva di desideri, rimpianti e appetiti.
Con un’ironia sottile e una precisione quasi antropologica, il volume si diverte a catalogare tutto ciò che rappresenta il 25 dicembre in Occidente e oltre, componendo un mosaico visivo di oltre 200 immagini che spaziano dall’arte sacra alla Pop Art, dalle decorazioni medievali alle pubblicità degli anni Cinquanta, passando per opere di artisti illustri come Botticelli, Andy Warhol, Norman Rockwell, Grandma Moses, e persino i disegni di The Snowman di Raymond Briggs. È una vera antologia visiva delle illusioni e delle liturgie, un catalogo di simboli che ci ricorda quanto il Natale sia, per gran parte del mondo, una delle poche occasioni in cui la cultura popolare riesca a indossare una veste splendida e pseudo-divina.
Prendiamo, per esempio, l’albero di Natale rovesciato di Shirazeh Houshiary appeso al soffitto della Tate Britain come un’allegoria modernista, o le lettere di Babbo Natale scritte a mano da J.R.R. Tolkien per i suoi figli, piccoli capolavori di calligrafia e fantasia che affiancano in questo volume l’onnipresente e un po’ irritante album Merry Christmas di Mariah Carey. Il contrasto è adorabile, quasi satirico: ecco l’arte contemporanea che strizza l’occhio alla memoria accanto alla nostalgia sentimentale di un sentimento diffuso.
I saggi di Sam Bilton, Dolph Gotelli e David Trigg esplorano le pietanze e le bevande tradizionali delle feste, Babbo Natale nel corso della storia e le pie origini della ricorrenza, in un viaggio visivo condotto da una tenera e maliziosa sapienza che mescola sacro e profano, alto e basso: come a suggerirci che il Natale è, in fondo, un enorme gioco di specchi in cui ognuno trova l’immagine di ciò che desidera.
Ho amato la bella dissertazione dedicata al cibo ‒ curata da Sam Bilton, esperta di storia gastronomica e culturalista culinaria ‒ perché è lì che il Natale rivela il suo lato più edonistico e, diciamolo, più autentico. Durante il periodo natalizio, mangiare diventa una liturgia che ogni cultura interpreta a modo suo ma che, in definitiva, celebra un’esigenza primitiva: saziare il corpo e, insieme, l’anima.
Bilton ci porta indietro nel tempo, esplorando la storia del pranzo di Natale e dei suoi piatti emblematici, dai banchetti rinascimentali dell’Europa cristiana ai riti più inaspettati: come quello giapponese, dove il pollo fritto di KFC è diventato, grazie a una campagna pubblicitaria geniale, un piatto natalizio irrinunciabile, con file chilometriche già da novembre davanti ai ristoranti della catena di fast food.
Certo, in alcuni Paesi, come in Italia, c’è ancora chi si dedica al rito dei biscotti decorati a mano, del panettone preparato con una lentezza che potrebbe fare inorridire l’umanità di oggi, sempre in cerca di scorciatoie.
Ma accanto a questi rituali arcaici, ecco comparire allegorie della modernità: i dolci in eleganti scatole dorate come trofei di un’abbondanza omologata. Roland Barthes, con la sua teoria dei miti moderni, sarebbe probabilmente rimasto affascinato da questa trasformazione: il panettone preconfezionato come simulacro del Natale, un segno che ha perso il contatto con le sue origini per diventare solo una merce.
Ma non è solo il cibo a definire il Natale. Come dimostra The Christmas Book, il Natale è anche canzoni, immagini, réclame, film ‒ un’intera costellazione di riferimenti che, soprattutto dal XX secolo, ha creato un linguaggio universale della festività. La musica che si ascolta in questi giorni è una vera e propria sottocultura, un fenomeno che continua a reinventarsi di generazione in generazione. E persino la pubblicità, con i suoi colori saturi e le scene idilliache di famiglie allegre, è diventata un’arte a sé, una forma di persuasione di massa che ci ricorda ogni dicembre quanto desideriamo – o ci illudiamo di desiderare – una contentezza da cartolina.
La verità è che, volenti o nolenti, Natale ci offre una tregua, un momento in cui possiamo sentirci parte di uno stesso gruppo. The Christmas Book suggerisce che dietro lo scintillio rimane un’aspirazione profonda di condivisione. Per quanto siamo consapevoli delle trappole commerciali, dei cliché, alla fine ciò che conta è il ritrovarsi attorno a un tavolo decorato con piatti antichi o addobbato con pollo fritto e tovaglioli di carta, per ricordarsi che appartenere a qualcuno o a qualcosa ‒ un Paese, un popolo, la propria famiglia o la personale cerchia di amici – è il dono più prezioso. Come scrive Albert Camus, “in mezzo all’inverno, ho scoperto che c’era, dentro di me, un’estate invincibile”. Forse il Natale è proprio questo: una piccola estate nel cuore dell’inverno, una luce che ci scalda e che, per un momento, ci fa sentire tutti, semplicemente, a casa.
Antonio Mancinelli
BIO
Antonio Mancinelli, giornalista professionista, è stato caporedattore di Marie Claire fino a luglio 2021. Collabora con Repubblica, D ‒ La Repubblica delle Donne, Amica, Il Foglio e altre testate online e offline. Ha iniziato con il Corriere della Sera. Insegna giornalismo di moda e semiotica della moda in varie scuole e atenei. Ha pubblicato vari libri: di questi, l’ultimo è L’arte dello styling (Vallardi) scritto in tandem con Susanna Ausoni, tradotto in tutto il mondo. Da sempre attento alla moda come riflesso della società e dispositivo politico atto a spiegare le mutazioni culturali, da anni predica che ognuno dovrebbe vestirsi come vuole e non come deve. Non gli crede nessuno.
Cover photo: la copertina di The Christmas Book
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