Femminilità, sorellanza e natura nella mostra di Chiara Camoni a Milano
Racconti da MArte
Diventando d’un tratto tutta occhi

Il lavoro di Chiara Camoni contiene una pluralità di materie e forme raramente addomesticate che accolgono l’inaspettato.
Nel disporsi nello spazio, le sue opere dischiudono la presenza di ciò che non si mostra o si consuma senza traccia nel quotidiano.
Uno dei suoi video, La distruzione bella (2022), racconta la genesi della serie delle sculture-gioiello (2022-in corso), composta da numerosi ornamenti ricavati da fusioni di oggetti metallici più o meno preziosi che vengono “sacrificati” alla memoria di chi li possiede, e una volta sciolti, nel processo di solidificazione incorporano altri elementi diventando collane, orecchini o bacchette dai tratti zoomorfi. In una traiettoria che ripercorre le azioni autodistruttive di Jean Tinguely – con la celebre scultura cinetica Homage to New York (1960), disfattasi nello Sculpture Garden del MoMa – e le imprese dei primi anni sessanta di Gustav Metzger, che in modo radicale ha affermato la distruzione come parte del processo di creazione dell’opera, La distruzione bella di Camoni esce dall’ambiente urbanizzato (prerogativa delle esperienze pregresse) per arrivare nelle zone rocciose delle Alpi Apuane, noto luogo di estrazione del marmo.
Nel video, insieme alle immagini della fusione dei minerali, sono mostrate le riprese di un gruppo di persone che creano degli arabeschi con fumi colorati nella radura. Sembrano un esplicito omaggio alle Atmospheres (1968-in corso) di Judy Chicago: sculture transitorie di fumo, fuochi d’artificio o ghiaccio secco, che l’artista femminista americana ha presentato in parchi e deserti del Sud della California e nel Nordovest del Pacifico, in opposizione alle azioni ben più intrusive di Land Art da parte di artisti a lei contemporanei. Nelle forme di evanescenza adottate da Judy Chicago è possibile rintracciare alcune delle caratteristiche principali del linguaggio di Chiara Camoni, fondato su una tensione tra spontaneità e partecipazione, libertà e smaterializzazione.
Attraverso la continua scansione temporale fra tradizioni antiche e vissuto personale – movimento generativo delle opere dell’artista –, è possibile immaginare che i colori cangianti che si disperdono nell’ambiente boschivo descritto in La distruzione bella possano entrare in dialogo con i fossili impressi sulle superfici minerali presenti in un altro suo lavoro scultoreo, Leonesse (2024), realizzato appositamente per la retrospettiva di Pirelli HangarBicocca. Immersi nel tempo e nell’incertezza della vertigine della roccia che li sovrasta, proprio come dei reperti geologici, i corpi delle persone raffigurate nel video di Camoni diventano detriti di conoscenza, trasformandosi in entità simili a rovine. Ed è proprio nell’indagine attorno all’idea di rovina – intesa come sforzo di rimemorazione della civiltà – che è possibile individuare il rapporto all’origine tra scultura e monumentalità nell’opera di Camoni, fondato sulla reiterazione di gesti transitori e nel mettere a confronto lo spettatore con un senso di densità.
Le sculture di Camoni si distinguono per i materiali naturali che ne determinano le tonalità terrose e per la mutevolezza delle configurazioni della sua produzione. L’artista, attraverso processi organici, combina nelle sue opere diversi tipi di erbe, foglie, bacche e fiori raccolti presso fiumi e boschi, ma anche argille e ceneri. La sua pratica si esprime inoltre attraverso una gestualità cha ha radici nel fare scultoreo e sfocia in una ritualità che evade i limiti del medium. Nei diversi casi, gli elementi vengono modellati, intrecciati o riassemblati a creare differenti corpus di lavori, che richiamano il mondo domestico e sono caratterizzati da tratti zoomorfi o da funzioni architettoniche.
Ricettacolo di frammenti in terracotta e fiori, le sculture della serie Sisters (2017-in corso) non commemorano l’immortalità, ma esistono in una molteplicità di tempi. La loro stessa natura compositiva – di lunghe “stringhe” di elementi in ceramica che vengono adagiate su strutture metalliche di riuso – sembra incoraggiare una volontà di trasmissione e affidamento di una memoria vulnerabile perché ricettiva e incompleta. La manifestazione della memoria nella ricerca di Camoni si esprime infatti nella sintonizzazione tra un tempo passato che rievoca pratiche artigianali e un fare sensibile alla contingenza.
Questa accezione performativa della monumentalità è alla base del progetto di mostra “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse” in cui l’artista ha immaginato lo spazio del giardino all’italiana d’impronta tardorinascimentale come architettura complessa per la disposizione dei lavori. Per natura i giardini sono creazioni effimere, la cui esistenza è raramente tracciabile attraverso i consueti parametri di individuazione e classificazione di un evento storico e, come argomentato da Robert Pogue Harrison, nel loro prender luogo in un dato momento fungono da “re-incantazione” del presente.
Spazio di dialogo tra vita e forma, nel giardino il tempo della natura è più che mai attivo: c’è il ricorrere delle stagioni, che apre a una ciclicità determinabile se prendiamo in considerazione il giardino come uno spazio delimitato, ma anche la dimensione geologica della conformazione terrestre è condizione inscindibile della sua esistenza, proprio perché essa determina le caratteristiche fisiche, meccaniche e chimiche del terreno che influiscono sulla tecnica agronomica. Nel giardino si incontrano dunque le due scale temporali più remote, il qui e ora e l’arcaico, e da questa unione vi è la creazione di una forma: come il germoglio di un fiore muove verso il sole per schiudersi e l’edera insegue l’umidità per ramificarsi. In questo spazio aperto alla porosità dello scambio, le trasformazioni sono incessanti proprio perché indissociabili dalla sfera temporale e ciascuno, percorrendolo, vive la perdita di leggibilità dei dettagli visivi, olfattivi, termici e acustici che lo compongono, da cui scaturisce un senso di totalità.
In questa dimensione esperienziale, il principio della visione nel giardino non è più quello prospettico che viene comunemente utilizzato per la rappresentazione del reale, ma vi è invece la ricerca di un’inquadratura, di un’immagine in sequenza che contraddistingue lo sguardo cinematografico. L’esperienza di mostra è dunque simile a quella di una camminata in montagna o in una radura, dove lo scorcio panoramico si compone nel corso della passeggiata, slegandosi dalla definizione di un orizzonte.
L’idea di mutevolezza dei confini, che connota “Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse”, è ulteriormente sviluppata da Camoni attraverso le sequenze di frammenti in onice dalle fattezze di Serpenti e Serpentesse (2024) che delineano i vari ambienti, tracciando aiuole e conferendo così al paesaggio un nuovo livello di ambiguità.
Per Camoni il punto focale del percorso espositivo è il centro dello spazio dello Shed, un vuoto attivatore da cui si diramano le quattro aree che ne costituiscono l’andamento. La struttura simmetrico-radiale, che in pianta ricorda il corpo di una falena, genera la disposizione degli ambienti, creati dall’orizzontalità del pavimento fino alle creste degli elementi domestici – tavolo, credenza o paravento –, che trattengono lo spazio esplorativo in un ambiente antropizzato. L’unica eccezione è rappresentata dall’opera Sul perché in natura tutto avvolge a sinistra #02 (2013-23) – una lunga linea di frammenti in terracotta azzurra inanellati uno dopo l’altro e prodromo della serie delle Sisters –, che attraversa connettendo dal pavimento al soffitto lo spazio espositivo.
Nel loro concretizzarsi come volumi materici, fatti di pesi, superfici e colori, è possibile individuare il registro cinematico che emana dalle sculture di Chiara Camoni. Infatti, ciascun elemento in terracotta, oltre a essere sottoposto a un movimento, quando per esempio viene attorcigliato lungo la struttura interna delle Sisters come collana, è interprete di un suono, secco e acuto, simile al rumore dello sfregamento di due pietre usate per accendere una scintilla. La relazione tra immagine in movimento e scultura si espande proprio in questo dialogo: alla frammentazione dei corpi materici corrisponde una temporalità che è inscindibile dal lessico compositivo di Camoni. Tra i maggiori nuclei di lavoro dell’artista, le Sisters sono presenze derivate da un passato fantastico, si adagiano nello spazio come divinità femminili protettrici dai caratteri a volte benigni altre terrificanti, e sembrano sempre sul punto di incarnare nuove possibili metamorfosi. La mutabilità delle loro sembianze, insieme ad altre serie scultoree di Chiara Camoni come i Vasi Farfalla (2020-22) o il Tavolo Insetto (2022), sfocia nell’evanescenza dell’immagine ritratta in Burning Sister (2023). Il video, girato a camera fissa, documenta il dissolversi di una Sister composta di fiori, foglie e bacche, che brucia durante il crepuscolo sulla spiaggia di un’isola in Grecia. Come ha affermato l’artista: «Non si tratta di sacrificio, ma di una sorta di realizzazione interna a questa figura. È come se lei arrivasse a compimento, come se raggiungesse il suo punto di verità nel momento in cui sparisce. Ed è di una bellezza feroce». Lo scoppiettio del fuoco che consuma la materia è diffuso nella mostra come unico elemento sonoro e agisce da principio fondante della creazione di tutti gli oggetti, tanto per le ceramiche quanto per le sculture-gioiello contenute nell’installazione Casetta (2024), su cui anche la proiezione si appoggia. Estinto il fuoco, il mattino seguente l’artista ha infatti raccolto la cenere rimasta sulla sabbia e con questa ha invetriato le ceramiche che sono parte dell’installazione, riattivando un corpo esausto e assegnandogli una nuova dimensione generativa.
Il video è esemplificativo del modo in cui il quotidiano si presenta per Camoni, come una situazione perpetua di creazione, dalla quale scaturisce un profondo senso di meraviglia davanti alle apparenze della natura e a cui l’artista conferisce una qualità spirituale. La dissoluzione dell’immagine della Sister è espressa nel suo essere immersa nel tempo, e questa intensità è sottolineata dalle inquadrature che sembrano trasmettere il calore vivificante del fuoco suggerendo un contatto diretto con la natura. L’opera di Camoni, infatti, è consapevole delle sensazioni del proprio corpo individuale e aspira al miglioramento delle modalità
di vita nella società collettiva. Questa sensibilità ricorda alcune delle prime azioni di Gina Pane di fine anni sessanta che vertevano attorno al recupero dei principi ambientali e al ritorno al terreno come valore fondamentale di nutrimento. Nelle foto di Enfoncement d’un rayon de soleil (1969) si vede Pane che con due piccoli frammenti di specchi tra le mani cerca di incanalare un raggio di sole per seppellirlo in una buca in un terreno coltivabile vicino Torino. Nel lavoro, la luce di mezzogiorno del 20 luglio 1969 (giorno in cui è stata fatta l’azione) è resa un’immagine invisibile di cui la terra si fa custode come gesto impossibile e tempo di cura. Ciò che muove quest’opera insieme al video di Camoni è il senso trasformativo della materia luminosa, che da immagine visiva si relaziona all’esperienza di trasmissione del calore del sole, simbolo di energia vitale. Il senso di ricettività, presente in questi due lavori, è riconducibile al fenomeno dell’apparire di un arcobaleno nel cielo durante un momento di pioggia leggero e si costituisce su un valore effimero della sperimentazione artistica, dove la formalizzazione dell’opera non è per forza la sua concretizzazione definitiva.
Proseguendo in questa riflessione, per Camoni le forme organiche e i cicli del mondo naturale sono oggetto e soggetto dell’opera, e proprio per questo motivo le sue creazioni contengono una dimensione di pluralità sin dall’origine. Come spesso l’artista afferma, il suo spazio di lavoro non è neutro, ma risente degli agenti atmosferici e delle persone che la circondano: amici, collaboratori e familiari. Questo approccio definito dall’artista come “promiscuità del quotidiano” assottiglia il confine tra opera d’arte e oggetto, abbracciando la distruzione e l’impermanenza come caratteri specifici del suo fare scultoreo. L’effimero, aspetto intrinseco all’atto di creazione dell’artista, inserisce il lavoro di Camoni in una genealogia artistica al femminile di figure come la scultrice slovacca Maria Bartuszová, che nel suo lavoro ha esplorato le relazioni tra persone, natura e materia. Bartuszová si è ispirata alle forme organiche e ai fenomeni della natura, come le gocce di pioggia, e ha sperimentato con la fugacità del processo liquido della fusione per creare opere d’arte solide e delicate allo stesso tempo. Le sue iconiche sculture, simili a uova o gusci, derivano dal versamento del gesso su palloncini di gomma gonfiati per produrre un calco, e testimoniano un senso di vulnerabilità. In una fase più avanzata della sua ricerca, inoltre, Bartuszová ha ulteriormente sperimentato questa tecnica nel giardino del suo studio, dove ha installato le opere come dei veri e propri frutti sugli alberi, raccontando poi queste azioni attraverso degli scatti fotografici. I sospiri calcificati di Maria Bartuszová, insieme ai grumoli di materia e cenere di Chiara Camoni, esprimono l’urgenza di temi sociali ed ecologici dove il fare artistico non è una semplice riduzione razionale delle forme naturali. Ecco, dunque, il gesto risolutivo di Chiara Camoni di radunare una collettività indistinta di figure e presenze animali fantastiche che guardano con occhi attenti e vigili il reale.

Lucia Aspesi, Fiammetta Griccioli

Testo tratto dal catalogo della mostra Chiamare a raduno. Sorelle. Falene e fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse, Marsilio Arte, Venezia 2024

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