Racconti

da MArte

Moda e giornalismo dagli archivi Condé Nast in una grande mostra veneziana

di Maria Luisa Agnese

Figura di punta di Vogue Italia, Alessia Glaviano sfoglia il catalogo della mostra Chronorama al Palazzo Grassi di Venezia, che riunisce alcuni preziosi scatti custoditi dagli archivi di Condé Nast. Un punto di vista da “insider” sul legame tra moda, immagine e giornalismo

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Va in mostra il Novecento, o perlomeno l’idea del Novecento che ci restituiscono 407 fotografie prodigiose e smaglianti che hanno colto lo spirito del tempo, decennio dopo decennio. A Palazzo Grassi a Venezia direttamente dagli archivi di Vogue acquistati parzialmente dalla Pinault Collection, va in scena Chronorama, una selezione che è anche una “lezione di storia”, come scrive Anna Wintour nella presentazione del catalogo, 430 pagine edite da Marsilio Arte: dove sfila sotto i nostri occhi una narrazione fascinosa e fantastica per immagini, fatte di glamour, di venti di cambiamento, di eccellenza artistica, di personaggi dello spettacolo come Josephine Baker, Cary Grant, Marlene Dietrich, Katherine Hepburn, fino ai Beatles; di protagonisti della politica da Stalin a Churchill a John e Jackie Kennedy; ma anche fotografie di guerra e ritratti di artisti e pensatori, da Picasso ad Albert Einstein. Una cornucopia di memorie e di intuizioni basata sul matrimonio fra giornalismo e arte, tutto firmato da fotografi alfa.
Io rivendico l’importanza della foto di moda per documentare la realtà”, spiega Alessia Glaviano, da 23 anni a Vogue Italia e ora Head of Global PhotoVogue e direttrice di PhotoVogue Festival, appassionata superesperta del genere. Secondo Glaviano è una sciocchezza pensare che i giornali di moda non possano avere un ruolo per cambiare anche l’immaginario politico. “Anzi, proprio il linguaggio delle immagini”, continua Glaviano, “può formarlo meglio di altri e cambiare lo sguardo delle persone con più immediatezza e forza. E oggi più che mai penso che ci possa essere un ruolo politico di qualsiasi immagine. Per esempio penso all’importanza che potrebbe avere dare visibilità giusta a persone con disabilità”.
Ed è quel che il gruppo Condé Nast ha fatto negli anni, raccontare con la forza di immagini eccellenti e con la capacità indagatoria dei fotografi migliori le vie del mutamento sociale.
Un successo iniziato con l’acquisto di Vogue nel 1909 da parte di un giovane editore ambizioso, Condé Montrose Nast, e poi sviluppatosi nell’industria del glamour, via via con gli altri giornali del gruppo, da Vanity Fair al New Yorker a House & Garden, fino appunto a Glamour. “Prima, dagli anni Dieci in poi, si puntava a un pubblico elitario, poi dopo la guerra l’interesse si è allargato al ceto medio, per quanto sempre alto”, dice Glaviano.
Di sicuro con il passaggio di proprietà alla famiglia Newhouse e con la nomina di un art director di grande visione, Alexander Liberman, alla direzione editoriale di tutte le testate del gruppo, la mission dell’estetica visiva si fa più chiara e incisiva. Tra l’altro in quel periodo arriva da Harper’s Bazaar (dove aveva lavorato con un altro art director geniale del tempo, Aleksej Brodovič) anche Diana Vreeland, come redattrice capo di Vogue, donna di gusto e di temperamento che dall’alta società americana è diventata arbitra di tendenze (è stata lei a ribattezzare Youthquake la rivoluzione dei giovani degli anni Sessanta).
Come Liberman crede nella creatività, e insieme lasciano spazio a una serie di fotografi di talento, da Cecil Beaton a Irving Penn, spronandoli non solo a fare eccelse foto griffate, ma anche a coltivare se stessi con reportage dal mondo, a crescere nel tempo.
Ecco, dallo sfoglio del catalogo, una scelta personale di Alessia Glaviano. Si sofferma a lungo sul periodo tra la fine degli anni Venti e i Trenta, “incredibilmente creativi”, per esempio sulla foto di Charles Scheeler con protagonista lo scrittore Aldous Huxley, pubblicata su Vanity Fair nel 1927, che documenta l’estetica del tempo; o sull’immagine molto moderna di George Hoyningen-Huene dell’artista Oliver Messel circondato da maschere, su Vogue del 1929. Poi, via sfogliando, lo sguardo va alla foto di Edward Steichen, dove un gruppo di modelle negli studi Fox simula un servizio in spiaggia e al reportage di Remie Lohse sui nativi d’America del 1937 su Vogue. E ancora alla modella in acqua di Toni Frissell del 1939. E poi la vista è catturata da tutte le immagini di Irving Penn, che in ogni foto e in ogni ritratto “trova il punto di vista che fa vedere la finzione, che svela lo studio della messa in scena”.
Arrivano i Sessanta con la sontuosa Twiggy di Bert Stern del 1965 e la nostra Benedetta Barzini fotografata da Gian Paolo Barbieri nel 1969. Per approdare alla nuova rivoluzione estetica degli anni Ottanta, con l’erotismo che irrompe nella fotografia. “Ancora un altro punto di vista incarnato prima di tutto da Helmut Newton”.

Maria Luisa Agnese

BIO
Maria Luisa Agnese, genovese, laureata in Filosofia, è giornalista curiosa, che dai settimanali (Panorama, Specchio, direttore del settimanale Sette) è approdata al Corriere della Sera e cura una rubrica su 7, Obituary. Ha appena scritto per Neri Pozza Anni Sessanta, quando eravamo giovani. Hobby: danza classica e yoga.

INFO
Chronorama
fino al 7 gennaio 2024
PALAZZO GRASSI
San Samuele 3231, Venezia
www.palazzograssi.it

Foto cover: Irving Penn, Lisa Fonssagrives-Penn lying in a field of grass, reading Gertrude Stein’s Picasso. book, 1952, Vogue © Condé Nast

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